Foto Sofia Mardegan |
E’ tutto stupore e bellezza in questo percorso che don Valentino propone, sicuramente come espressione autobiografica, secondo lo stile dei maestri di spiritualità più sperimentati che, il più delle volte, consigliano ciò che loro stessi hanno provato. Ma non è assente, anzi, l’impegno, l’ascesi, la fatica. Solo che è la faccia di sudore è svelata su orizzonti non immediatamente percepibili da una visione grossolana, come se lo sforzo del crescere, e la lotta dell’evitare ciò che impedisce il salto più in alto, fosse qualcosa di necessariamente quantificabile in chili da portare o da togliere. Qui l’impegno è ancor più gravoso, ma più sottile. E ripaga con una gioia che l’autore ritiene indicibile, ineffabile. Imparare la bellezza nascosta nei gesti e nei sentimenti più minuti, e non solo quelli splendenti: anche ad esempio nell’insicurezza. C’è l’insicurezza del ricercatore e quella della persona che si contempla. In quella insicurezza, come in un battito di ciglia, si cela lo splendore del creatore, dell’artista supremo che ci ha creati liberi e lanciati verso l’eterno, destinati a completarci nella conoscenza e nell’amore. Detto sia solo per inciso che sotteso sta il pensiero scolpito di Ireneo di Lione: la gloria di Dio è l’uomo vivente. Vogliamo fare anche noi la prova?
GLORIA
05. 01. 12
La gloria di Dio, cioè la sua bellezza splendida e tremenda riluce sul volto di ogni persona.
Il Verbo di Dio, che si è incarnato, è venuto a mostrarci la contiguità tra Dio e ciascuna delle sue creature. Dio ha esposto la sua luce in tutti gli uomini e ciascuno di essi mostra la profondità della gloria eterna.
Serve la fatica e l’apprendimento del modo della ricerca. Sono invitato a salire, a superare le mie insicurezze esigendo da me stesso tutto l’impegno necessario. Come non c’è limite alla grandezza di Dio così non c’è limite alla mia possibilità di salire più in alto.
Mi compete di imparare il modo di vedere contemplativo. Il quale non consiste nel guardare gli aspetti positivi della persona lasciando in ombra – fingendo che non ci siano – quelli negativi, ma nello spingere lo sguardo in profondità alla ricerca della trascendenza della persona, là dove posso scorgere la sua contiguità con il Creatore.
Il cuore della persona che vedo è dato esattamente da questo: essa è donata gratuitamente a se stessa. La prima emozione a cui mi conviene attendere è lo stupore offerto dal mistero: la bellezza ineffabile mostrata da barbagli di luce piccoli e precari quali il luccicare rapidissimo di un sorriso, un vezzo frivolo, un moto delle palpebre o delle mani, una espressione emergente di felicità, di timore, di insicurezza, di desiderio. Se ho tenuto la mia capacità di vedere in condizione di buona efficienza potrò avvertire nitida la vibrazione emessa dalla corde più riposte dentro di me. Cercherò le parole per comunicare la mia emozione, perché non mi travolga, perché mi sia conservata quanto più a lungo possibile senza essere deformata e perché io possa conoscerla in ulteriore profondità.
Di solito si sperimenta una felicità per la quale non sono ancora state inventate le parole e una dolce sofferenza motivata dalla consapevolezza di non poter dire tutto. Non ci si può mai ubriacare abbastanza.
L'applicazione di quanto è stato felicemente illustrato circa la bellezza e la contemplazione la allargherei a un atteggiamento particolare che definirei autocontrollo di sè rivolto al bene. Può accadere di dialogare con l'intento di migliorare un rapporto affettivo, e di lasciarsi sfuggire una parola di troppo, originata da debolezze. In quel caso si ottiene l'effetto contrario.
Bruno Mardegan
Che bello questo "Gloria"! Il bello è sapere che "la capacità di vedere" può confermare ogni volta la presenza di quella bellezza che non rimane visibile a lungo, ma non scompare mai del tutto perché fissata nel ricordo.
Grazie