l’ultima parola. Ma Gesù ha sentito ciò che stavano dicendo. E’ del tutto presente, non gli sfugge nulla, soprattutto ciò che tocca i suoi amici. A Gesù interessa Giàiro e sua figlia e interviene per aiutarlo. Gli amici non debbono averla vinta. Per la potenza di Dio, che sia malata o che sia morta, non fa grande differenza. La differenza la può fare la fede di Giàiro, è quindi è molto importante che non venga meno. Gli amici e i parenti possono dire quello che vogliono, Gesù non li rimprovera. Ma incoraggia il capo della sinagoga a non perdere la speranza, a non aver paura delle cattive notizie, neanche della morte perché c’è qui qualcuno che è più potente della morte. C’è l’ Amore stesso di un Dio fatto carne, c’è
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Carmela, l’amore ha vinto la morte
Paolo scrive ai Romani: <<Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi.>> A stento si trova, dice Paolo, e invece Lucia ha trovato subito pronta Carmela. Con la morte di Cristo, Dio dimostra il suo amore. Non salta agli occhi una somiglianza? Per trovare un senso a fatti che ci sconvolgono, possiamo guardare alla morte salvifica di Cristo e a quella dei martiri che lo hanno seguito? Il 10 ottobre 1982 Giovanni Paolo II entrava sul sagrato di san Pietro con il colore rosso dei martiri, nel giorno della canonizzazione di Massimiliano Maria Kolbe: era stato riconosciuto dalla Chiesa che il suo gesto di dare la sua vita per salvare un altro, era un martirio. Martire della carità. Diceva nell’omelia <<Da oggi la Chiesa desidera chiamare “santo” un uomo al quale è stato concesso di adempiere in maniera assolutamente letterale le suddette parole del Redentore.…ha rivendicato, nel luogo della morte, il diritto alla vita di un uomo innocente…ha riaffermato così il diritto esclusivo del Creatore alla vita dell’uomo innocente e ha reso testimonianza a Cristo e all’amore Dando la sua vita per un fratello… si è reso simile a Cristo…>>. Carmela ha dato la vita per salvare Lucia. Noi sacerdoti, che nella Messa preghiamo per lei, possiamo unire il suo sangue versato al calice di Cristo, sull’altare E chiedere a Dio che il suo sacrificio cooperi con Cristo a riempire questa generazione di Lui e del senso della sua vita. Aiuti a instaurare rapporti d’amore vero, pulito, fecondo. Là, nell’androne della casa, luogo dell’amore, un gesto d’amore vero si è opposto ad un amore falso. Sembra a noi che il vero soccomba nel sangue e invece vince, per sempre. Il nemico del genere umano fu omicida fin dal principio, ma con la croce di Cristo pensava di aver vinto e invece ha perso. La vita, l’amore, hanno vinto la morte.
“Figlia, la tua fede ti ha salvata”. Papà Giàiro e la donna che perdeva il sangue e tutti i suoi averi.(1ª parte)
se ne rendano conto. Se riuscirò, sarò guarita dal mio male. Non dovrò più spendere i soldi che non ho più, con i medici, non dovrò più essere allontanata come una lebbrosa, e impedita di essere avvicinata da mio marito. Quante volte in questi dodici anni ho aspettato i sette giorni prescritti per la purificazione dalla Legge sperando che fosse tutto finito, per poi scoprire che avevo perso sangue di nuovo e tutto ricominciava! E pensando così la donna si lancia, si infila, si getta verso di lui che cammina rapido e riesce a toccare il suo mantello. Ed è guarita all’istante e se ne accorge. Un istante di felicità, chiuso in se stessa. Ma anche Gesù si rende conto che una forza è uscita da lui. Il greco del Vangelo di Marco usa le stesse parole per le reazioni di Gesù e della donna, mettendo in relazione l’immediatezza della loro percezione e la conoscenza razionale di ciò che era avvenuto in loro: l’uscita di una forza che sana, per Gesù, e la guarigione, per la donna. Dice Marco della donna: E subito si prosciugò la fonte del sangue di lei e conobbe nel corpo che era guarita. E di Gesù: E subito Gesù avendo conosciuto in se stesso che da lui era uscita una potenza, essendosi voltato diceva : Chi ha toccato i miei mantelli? Notare questa piena sintonia è importante per quando pensiamo che Gesù non ascolti la nostra preghiera o che sia distratto rispetto al nostro agire, al nostro soffrire, al nostro gioire, al rivolgerci a lui. La corrispondenza è totale e immediata tra ciò che ci accade e quello che lui sa di noi. Subito Gesù comprese. Quando Gesù ferma il suo camminare e dice: chi ha toccato le mie vesti, la donna capisce che si sta riferendo a lei. E si spaventa: che cosa ho fatto? Non si meraviglia che, come lei ha conosciuto l’istantanea guarigione nel suo corpo, anche Gesù abbia conosciuto nel suo corpo che un contatto di guarigione era avvenuto. Piuttosto pensa: come ho fatto a non immaginarmelo prima! I discepoli, frettolosi, un po’ superficiali, tendenti alla critica, anche verso il Maestro, e sciolti di lingua gli dicono: tutti ti stringono e ti domandi chi mi ha toccato? Ma Gesù sa che uno solo è stato il contatto che ha guarito e non è stato uno stringere, o una spinta, è stato un braccio teso a sfiorare il mantello, per cercare il contatto di salvezza con il suo corpo. Infatti Gesù non ha detto chi mi ha toccato, ma: chi ha toccato le mie vesti ? E dicendo così svela la conoscenza anche della precisa azione compiuta dalla donna. I discepoli non hanno colto la differenza. Gesù non bada a loro, non si attarda a spiegare, capiranno dopo, e si guarda intorno: gli interessa incontrare quella donna. Per lei, il suo messaggio è chiarissimo: anche se non ha detto pubblicamente: ” ho sentito che è uscita una forza dal mio corpo “ oppure: “ so che da una tra voi mi ha toccato le vesti ed è guarita”, anche se Gesù mantiene il riserbo, il suo messaggio, pur essendo pubblico, è rivolto solo a lei: è personale ed è come sempre anche riservato. Ti conosco, le fa capire Gesù, so del tuo male, e che mi hai toccato le vesti, che sei guarita e che adesso anche tu sai che io so. Cristo vuole conoscere con i suoi occhi incarnati e ascoltare con il suo udito da figlio dell’Uomo, imporre le sue mani d’uomo, quelle mani che hanno lavorato, baciate da sua madre, a quella donna che ha appena guarito; non vuole accontentarsi della sua conoscenza divina. Vuole aiutarla a non avere paura di Lui, di se stessa, della sua malattia, della società, della sua fede, del miracolo che è avvenuto in lei. Gesù si guarda intorno, cerca lo sguardo della donna, la vuole aiutare a uscire allo scoperto, la vuole incoraggiare. La donna capisce che tutto è chiaro alla mente del Figlio dell’Uomo ed esce impaurita e tremante allo scoperto. Lei sa di essere impura secondo la legge del Levitico (15,25 sg), e sa che chiunque la tocca viene reso impuro per la legge di Mosè ecco perché voleva guarire ma non voleva rendere impuro Gesù, per questo gli ha toccato solo il mantello, sperava di farlo senza che lui se ne accorgesse, approfittando della folla, non voleva renderlo impuro! Gesù vuole farle sapere che non c’è più il problema dell’ impurità, che non deve aspettare giorni e giorni. E’ tutto a posto, è una donna normale come le altre, non deve più nascondersi, non deve più avere paura. La donna esce dalla folla, dall’anonimato, dal nascondimento. E’ tutta impaurita e tremante perché teme che le si rinfacci la sua malattia come colpa o come frutto di una colpa, teme che il Maestro la rimproveri per la sua audacia, per la trasgressione della legge. Teme di essere rimproverata e punita. Ha paura del giudizio degli uomini. Ma la voce di Gesù le dà coraggio. Esce dalla folla e scorge il suo sguardo. Uno sguardo di infinito amore, di conoscenza eterna. Nessuno mai l’ha guardata così. Scossa dalle emozioni si fa avanti e si getta a terra davanti a lui. Dice il Vangelo: e gli disse tutta la verità. Era ciò che Gesù voleva: insegnarle a non aver paura della verità con lui che è la verità in persona, verità che libera. Voleva che fosse sicura per sempre, al riparo da qualunque scrupolo successivo, che non aveva fatto nulla di male, che il suo gesto non rendeva impuro nessuno, che non avrebbe mai dovuto pentirsi di ciò che aveva fatto, che era bene che tutti sapessero, che non doveva vergognarsi del suo male, che non era colpa sua. Che non aveva rubato la guarigione: che lui stesso gliel’aveva conferita e ora gliela ribadiva con solennità davanti a tutto il mondo e per sempre. Non avrebbe dovuto più temere che il suo flagello si ripresentasse. E che il merito era anche suo: grazie alla sua fede. Com’è contento Gesù della sua fede! Si ferma, anche se la figlia di Giàiro sta morendo. E’ conquistato dalla sua fede. E’ affascinato dalla sua audacia mescolata con la sua paura, e vuole premiare l’audacia e far scomparire per sempre la paura, nella certezza del suo amore infinito. Non può quindi perdere l’occasione di aiutarla, di farsi conoscere. Gesù non teme di lodare la sua fede perché sa che la verità rende liberi. Anche per questo la vuole mettere in evidenza, come un esempio per quelli che lo seguono e per tutti i destinatari del Vangelo: guardate anche voi questa donna! Imparate da lei: abbiate fede e cercate di toccarmi con la stessa fede! Grazie alla sua fede è stata guarita e ora ha diritto a tornare nella sua casa, restituita alla normalità della sua vita, liberata dalla schiavitù dell’emarginazione, dal peso di cure inutili e costose. Piena della pace interiore che l’incontro con Cristo dona. Gesù non ha lasciato il miracolo a metà e dopo aver guarito il suo corpo, conoscendo il peso sul cuore della donna ha voluto orientare in modo stabile la sua anima. Con il gesto di farla uscire dall’anonimato della folla le ha dato molti benefici. La possibilità di conoscerlo di persona. Di confidarsi con lui. La comprensione della dimensione naturale e non morale della sua malattia. Il coraggio di proclamare di fronte agli altri le grandi opere di Dio. Il conoscersi come donna di fede e il riacquistare fiducia in sé stessa. La pace nel cuore e la buona fama restituita. Un nuovo inserimento nel suo ambiente della società. Il divenire testimone oculare di un miracolo di Gesù e della sua misericordia, del suo sguardo alla ricerca della pecora perduta, della sua attenzione e del suo amore per ogni persona. Del suo voler incontrare personalmente ciascuno, per sollevarlo, consolarlo, salvarlo.
“Credo; aiuta la mia incredulità!”. Il papà di un ragazzo posseduto da uno spirito muto.
non risponde alla domanda di Gesù, spiega l’antefatto, va al dunque, a ciò che gli sta a cuore. Ti ho portato mio figlio che è posseduto e maltrattato da uno spirito muto, ho chiesto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti! Forse discepoli e scribi si sono messi a discutere sulla natura di quella malattia, sulle possibilità di scacciare demoni, sulle caratteristiche e qualità che deve avere chi scaccia i demoni, a chi toccherebbe per primo provare, sulla procedura, e così via. Quando non riusciamo a compiere il bene, o quando è difficile, tendiamo a discutere. La reazione di Gesù è forte e un po’ sorprende. O generazione incredula! Vede nell’episodio una mancanza di fede tale da mettere in dubbio l’ efficacia di tutta la sua missione: fino a quando starò con voi? O forse possiamo vedere in quelle parole l’ impazienza di arrivare quanto prima al decisivo momento del suo sacrificio sulla croce, senza il quale questa generazione e tutte le altre si dibatteranno sempre nella incredulità, nell’assenza di risorse soprannaturali, nella privazione della grazia divina: fino a quando dovrò sopportarvi? Veramente pare proprio che per Gesù questa discesa dal monte sia un’esperienza simile a quella di Mosè. Anche questo popolo, questa generazione che lo attende, manca di fede. Non costruisce idoli, ma li coltiva dentro di sé. Anche tu Gesù nella tua umanità soffri del contrasto tra la conversazione di cielo sul Tabor e la nebbia della poca fede nella pianura? Parla al plurale: starò con voi, dovrò sopportarvi. Quindi nota in tutti la mancanza di fede: nei suoi discepoli, che non sono riusciti a scacciare quel demonio. Negli scribi che li criticano, nel padre del ragazzo, che riferisce i fatti con animo malevolo nei confronti dei discepoli, e ha una visione un po’magica del potere di Gesù, e bada solo al suo scopo in modo egoistico, senza disponibilità alla conversione personale. Nella folla che è presa solo dalla curiosità di vedere come va a finire, chi vince nella contesa pubblica. Avrebbero dovuto tutti pregare molto, pregare di più, fare propositi di conversione, chiedersi: perché mai i demoni vengono con tanta facilità ad abitare in mezzo a noi?
Un funzionario del re, che aveva un figlio malato
mano, con una parola. Tenevamo d’occhio i suoi spostamenti, eravamo informati bene. Trasmettevamo puntualmente ad Erode ogni notizia su di lui.
“Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”. Storia di tre silenzi di Gesù, e di una grande lode.
Partito di là, si recò nella zona di Tiro e di Sidone. Ed ecco, una donna cananea che veniva da quella regione, si mise a gridare: “Pietà di me Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio”. Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli si avvicinarono e lo implorarono: “Esaudiscila perché ci viene dietro gridando!” Egli rispose: Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele.” Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: “Signore, aiutami!” Ed egli rispose: non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini” “E’ vero Signore – disse la donna – eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”. Allora Gesù le replicò: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri” E da quell’istante la figlia fu guarita.
cuor suo, non aveva dubitato. A la sua prima immediata richiesta, Gesù non le dice una parola. La donna forse considerava la liberazione della figlia, come un gesto che sarebbe successo in modo quasi automatico, bastava fornire il dato al figlio di Davide che è venuto per questo, e lui sarebbe intervenuto con una parola che libera, che salva, anche a distanza. Ma la prima risposta del Signore, che è il primo silenzio, cambia in lei la fretta concitata di trovare il maestro e dirgli la situazione, in un dolore più consapevole e in una angoscia più profonda: non è bastato trovarlo! Mi sta sfuggendo! Non sia mai che non mi ascolti! Tutti questi sentimenti si riversano nelle sue grida ancora più forti. Non cede alla tentazione di pensare che non potrà avere il miracolo, mette tutte le sue forze fisiche ed emotive per ottenere ciò che vuole: grida con tutte le sue forze. Persevera nella preghiera. Grida a squarciagola, non avere riguardo, alza la voce come il corno (Is 58,1), diceva Dio al profeta Isaia. Lo dice anche al suo cuore e lei lo fa. Non ha altre armi. Gesù ancora tace e continua a camminare. Secondo silenzio del Maestro. I discepoli che hanno visto altri esorcismi del loro Rabbi, sanno che lui può, non capiscono perché tira dritto, seguono un ragionamento molto pratico del rumore da togliere, del fastidio da eliminare, del problema da risolvere, in fondo che cosa ti costa, tu che puoi, esaudiscila! Questo dà coraggio alla madre. Stanno intercedendo per lei. Il Figlio di Davide si volge a spiegare ai suoi discepoli il motivo che riguarda la scansione dei tempi nel progetto di salvezza di Dio, spiega loro perché non le sta dando retta: sono stato mandato alle pecore perdute della casa d’Israele! Lei ne approfitta per sgusciare dalla custodia dei discepoli e balzare davanti a lui: si getta ai suoi piedi obbligandolo a fermarsi. Nella preghiera di Israele si dice: “questo povero grida e il Signore lo ascolta, lo libera da tutte le sue angosce (Sal 34,7) e anche che Egli libererà il povero che grida e il misero che non trova aiuto, avrà pietà del debole e del povero e salverà la vita dei suoi miseri.(Sal 72,12-13). La risposta del Signore ai suoi discepoli, terzo silenzio con lei, ha operato un altro cambiamento nel suo animo: non è più solo la madre disperata che urla perché la figlia venga salvata, è una donna che corre davanti a Gesù e si prostra ai suoi piedi, mostrandosi come una figlia che implora un favore dal padre che può tutto. Vuole il contatto a tu per tu. Si mette lei in gioco: adesso sono io, come una figlia, che ho bisogno di te. Guarda anche me come pecora perduta, sono ferita, voglio che tu mi prenda sulle spalle e mi riporti all’ovile. Che ti prendi cura di me. E’ cambiato lo stile di preghiera, è diventata più personale, non parla ora della figlia ma di sé: Signore, aiutami! Sono io che ho bisogno di aiuto. Sono io che soffro terribilmente perché vedo mia figlia in quello stato, maltrattata da un demonio. Aiutami. Con i discepoli Gesù aveva utilizzato un’immagine biblica e un argomento teologico, a lei dice lo stesso argomento ma con una diversa immagine, più comprensibile a lei, anche se molto dura: il pane è per i figli, come tu, madre, sai e ne hai esperienza e riservi il pane buono per loro, ai cagnolini dai gli avanzi. Ora nei tempi della storia della salvezza i figli sono le pecore perdute d’Israele, tu invece, cananea, sei tra i cagnolini, anime lontane ancora non raggiunte dalla Parola di Dio e dalla sua salvezza, non è per te, ancora, quel pane. Anche se hai conosciuto che ho fatto tante guarigioni tra i figli, non ci sono le condizioni perché lo faccia anche per te. Questa seconda parola del Signore, la prima rivolta direttamente a lei, provoca un ulteriore cambiamento nella sua anima. Le ha detto: non sei ancora figlia, sei come un cagnolino. Pur essendo dura quella parola, lei non ne discute la verità, la accetta umilmente: è vero quello che dici. Ma rilancia, obbietta con un’altra verità colta dall’esperienza della sua vita, e inconfutabile: i cagnolini vengono e prendono le briciole che cadono. Se mio figlio gli dà del pane lo rimprovero, ma se i cagnolini vengono a lambire le briciole che cadono dalla tavola non dico niente, va bene così. A me basta una briciola che cade dalla tua tavola, non voglio considerarmi per questo figlia a tutti gli effetti, va bene anche lo status di cagnolina, basta che mi sia fatto ciò che voglio. Dammi solo qualche briciola di quello che dai ai tuoi figli.
Gesù l’ha messa alla prova, lei ha resistito, non ha perso, ha rafforzato la fede, non ha dubitato dell’amore di Cristo per lei anche se era nascosto così bene. E Gesù ne è ammirato. Ha voluto, conoscendola bene, che manifestasse a tutti la sua fede, la tenacia della preghiera, l’umiltà, la sua acutezza di argomentazione, la sua disponibilità a cambiare dentro di sé atteggiamento, a crescere ad ogni parola del Salvatore: dalla sola fede con richiesta, alla perseveranza del chiedere, al rapporto personale, all’umiltà di riconoscere il suo stato di non appartenente al popolo d’Israele. Anche l’affetto per la figlia e la forza della sua volontà l’hanno resa capace di reggere e vincere nel dialogo con il Maestro: a nessuno nel Vangelo è stato dato questo privilegio come a lei, tutti hanno dovuto riconoscere che la sapienza del Cristo era somma, nelle discussioni gli altri hanno sempre perduto, se ne sono andati sconfitti, illuminati e vinti dalla sua verità. Questa donna invece ha vinto il dibattito dialettico con la Parola di Verità. Gesù l’ha sfidata e le ha dato l’occasione di vincere, ha esaltato la sua virtù. Le ha concesso un privilegio senza pari, incoraggiando così tutte le donne e gli uomini della storia a ingaggiare la preghiera come lotta con Dio, come nell’esperienza di Giacobbe (Gen 32, 25-32). Come gara, come gioco d’amore che si può vincere. E la cananea ha vinto: Grande è la tua fede! Sia fatto per te come desideri. Per questo potrà entrare nel popolo dei figli di Dio perché ha lottato con Dio e ha vinto, come Giacobbe. Il tuo desiderio è diventato comando per Dio, perché tu credi, perché tu vuoi, perché tu preghi con grida e con tenacia, perché tu non vieni meno di fronte alla difficoltà, avvenga dunque per te, quello che desideri.
“Credete che io possa fare questo?”. I due ciechi di Cafarnao in casa di Gesù.
l’ospitalità, non dare pubblicità al miracolo e potere interagire con loro su questioni personali necessarie. Vuole interpellarli sulla loro fede. Fa loro una domanda per la quale è meglio che non ci siano spettatori. La risposta deve essere autentica e sincera. Così mette in evidenza ai ciechi e ai suoi discepoli che la dimensione del credere è condizione necessaria al conseguimento della grazia. I due si fanno compagnia, si aiutano, si sostengono. Probabilmente si sono a vicenda incoraggiati a cercare Gesù di Nazareth e a chiedergli la loro guarigione. Si sono alimentati a vicenda nella fede in lui. Insieme si sono affacciati, insieme Gesù li fa entrare a casa sua, insieme li interroga. Credete che io possa fare questo? La fede deve essere esplicita in lui. Si, o Signore. La risposta è senza incertezze. Insieme li guarisce. Nelle parole che Gesù pronuncia fa capire che la loro fede è protagonista importante della loro stessa guarigione: avvenga per voi secondo la vostra fede. E’ importante per Gesù perché lo è per noi esplicitare la fede: credo, crediamo, Signore! Con la fede siamo protagonisti, collaboratori di ciò che desideriamo e chiediamo a Dio. Collaboratori di Dio. E tocca i loro occhi. Questo tocco significa che comunque, al di là della loro fede, è lui che opera. Non avrebbero potuto vedere, ad esempio, il gesto del guardare in alto del Signore, o un gesto di preghiera silenziosa, o un atto di benedizione da distante: hanno bisogno di sentire il tocco della sua mano sui loro occhi per ricordare per sempre che la guarigione di quegli occhi avvenne grazie alla loro fede, ma anche alle parole di Gesù e al suo tocco: è la sua umanità, la sua carne piena di Dio che è veicolo di salvezza. Poiché sono ciechi, Gesù parla e tocca. Così ricorderanno per sempre. E corsero a mostrare e a raccontare la loro guarigione, com’era avvenuta, in tutta la regione.
“Seguimi”. Matteo al banco degli esattori.
futuro, anche se dovevo guardarmi le spalle dai fanatici religiosi, ecco, tutto ciò non mi sembrava sufficiente. Anche l’ essere a posto con la coscienza: ero convinto di non fare nulla di sbagliato, anche se molti mi guardavano male. Pensavo che il popolo d’Israele stesse percorrendo una fase storica, sarebbe passata, come tante altre. Dovevamo avere pazienza e non infastidire gli occupanti. Eppure tutto questo non mi bastava, non poteva essere l’ unico scopo e l’unico significato della mia vita. Sognavo avventure di salvezza più alte. Sognavo un amore più grande. Un amore più grande urgeva nel mio animo ma non sapevo cos’era. Quei giorni di Cafarnao portarono alle mie orecchie, gli echi di parole e gesti di Gesù di Nazaret. Al telonio ne parlavano i colleghi e i tassati; i militari ci chiedevano notizie. Intuivo che forse qualcosa di grande stava accadendo al mio popolo; forse ciò che aveva detto il Profeta Isaia: Terra di Zabulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce. [1]Eppure tutto ciò non è sufficiente a spiegare la chiarezza, la convinzione, la certezza che mi invase dentro al vederlo e al sentirlo chiamarmi per nome, all’ imperativo che mi rivolse: seguimi! Non avrei mai deciso da solo di unirmi a lui, né si confaceva al mio modo di essere che fosse un amico a presentarmi. Avevo bisogno di sentire quelle parole direttamente da lui. Mio padre Alfeo era uomo saggio e aspettava la manifestazione del regno di Dio. Ci aveva educati a pregare perché avvenisse quanto prima. Ero andato a sentire Giovanni e le sue parole forti e rudi. Mi ero lasciato battezzare da lui per chiedere a Dio perdono dei peccati. Ma tra i peccati non ritenevo che ci fosse il mio lavoro. Anche le parole di Giovanni che orientavano tutti a fare il bene nel proprio lavoro, senza lasciare il proprio posto, mi confortavano nella stessa direzione. E pur sapendo di essere oggetto di critiche da parte di molti continuavo a ritenere più giusto rimanere lì al mio banco da esattore. Se io me ne fossi andato, altri senza scrupoli sarebbero potuti venire. Io cercavo invece di mediare, di far sì che le richieste si adeguassero il più possibile alla reale situazione di ciascuno. Poiché non rubavo, i miei superiori si fidavano di me e mi lasciavano ampio margine di manovra. Andai ad ascoltare anche Gesù in quei primi giorni di Cafarnao, non avevo dimenticato quella profezia di Giovanni: dopo di me viene uno che è più potente di me e io non sono degno neanche di portargli i sandali. Lo sentii parlare, lo vidi compiere guarigioni. E’ lui! Ero proprio convinto in cuor mio, che fosse proprio lui l’ unto del Signore, il Messia. Stare ad ascoltarlo ti dava la forza di seguirlo dovunque fosse andato, anche in capo al mondo. Rimanevo però nelle retrovie, un po’ nascosto, per non dare nell’occhio e poi tornare rapido al mio posto di lavoro per non suscitare sospetti o recriminazioni. Fra me e me ero incerto e pensavo: uno come me non potrà mai fare parte del gruppo dei suoi. Sarebbe per lui squalificante. La gente perderebbe fiducia in lui, soprattutto i nemici dei romani. E poi chissà se è proprio vero che sono a posto con la coscienza, se questo lavoro non è inviso agli occhi di Dio? Per questo non mi sarei mai aspettato quell’ incontro, non lo avrei mai neppure potuto sognare. Ma allo stesso tempo è come se lo avessi da sempre desiderato. Ripensandoci: come ha fatto bene tutte le cose, il figlio di Dio! Chiamandomi così, davanti ai compagni di lavoro, al mio banco di esattore ha risposto alle mie più profonde aspettative, ha dissipato i miei dubbi, ha confermato che quel lavoro andava bene, anzi mi aveva preparato all’incontro con lui. Mai, lungo i tre anni successivi mi ha rimproverato per quel lavoro che facevo, nessuna parola contro di esso. Piuttosto quante parole e gesti contro i farisei e gli scribi che dicevano male di me e del mio lavoro! Era da anni che sognavo l’ amore. Fin da bambino. Me lo immaginavo naturalmente con il volto di una donna, con la fecondità esultante del nostro amore. Eppure nella maturità della giovinezza, gli incontri, le conoscenze, le frequentazioni con una fanciulla e con un’altra, mi lasciavano la percezione che non mi bastava, non riuscivo a capire perché, ma era come se fosse troppo poco per le richieste del mio cuore, l’orizzonte di una sola creatura. Nonostante ciò volevo loro molto bene. Ma poi scattava il bisogno di andare oltre, sentivo una spinta interiore a non fermarmi lì, a non piantare la tenda, a non ingannarle con una promessa che non corrispondeva al mio cuore. In quel giorno, in quell’ istante, in quell’ incontro di luce, con quell’unica parola accompagnata da quel suo sguardo che era uno sguardo personale di chi ti conosce e che ti ama da sempre, in quel momento di sobbalzo del cuore, tutti i pensieri sono giunti alla loro meta, tutti i sentimenti alla loro casa. Allora era questo! Era per questo. L’educazione di Alfeo, i discorsi di Giovanni e il suo battesimo, i sogni d’ amore mai realizzati, le battaglie per continuare a fare il bene nel lavoro così malvisto e odiato da molti. In quell’ istante si incontrò la terra con il cielo nel cuore che si dilatava e cominciava a volare. Gli anni avvenire confermarono l’intuito del momento.
Il lebbroso coraggioso
(Mt 8, 1-4)
dico ad alta voce: lo voglio! Sii purificato dalla lebbra! E Gesù nel dire questo lo tocca. Così all’audacia del lebbroso, Gesù risponde con la sua audacia, alla libertà del lebbroso con la libertà di Dio. Tu vieni qui per farti guarire e chiedi misericordia pur dovendo stare lontano. Io che non dovrei toccarti per non diventare impuro invece ti tocco per renderti puro. Avrei potuto guarirti con un atto della volontà che non si vede, oppure con una preghiera e lo sguardo rivolto al cielo; con un battere di palpebre, o tendendo la mano verso di te o dicendoti di andarti a lavare lontano o con la sola parola comandando alla lebbra di fuggire: sparisci o lebbra dalle membra di quest’uomo! Invece ho voluto toccarti per dirti che non temo il tuo male, che l’amore è più forte della paura, che il mio corpo è strumento di salvezza, che la legge va custodita finché non è contro l’uomo e il suo bene. Ti tocco come la madre accarezza il suo bambino, così dico per sempre la lode di Dio alla tua schiettezza, la stima per la tua dignità che nessuna malattia potrà mai togliere a nessuna creatura umana. Gesù ricorda al lebbroso guarito all’istante, il rispetto della legge di Mosé: vai dal sacerdote e offri quanto prescritto per chi guarisce dalla lebbra. Gesù ha lodato e approvato la sua libertà dalla legge nel modo di raggiungere il bene, ma adesso rispettare quanto prescritto da Mosé porterà dei beni: ringraziare Dio del dono ricevuto, i sacerdoti che si rendono conto che Dio sta operando guarigioni, e si preparano ad essere un giorno, come sacerdoti di Cristo, coloro che purificano direttamente dalla lebbra del peccato prestando a Cristo la voce e le mani con cui benedicono.