Subito si può cominciare a seguirlo – dedicargli la vita – servirlo, donargli i beni di cui lui stesso ci ha dotati in previsione del nostro servizio. Una buona confessione può cambiare la vita. Può essere l’inizio di un’avventura divina. Maria di Magdala fu la prima a vedere Gesù risorto. Ebbe il compito di annunciare ai discepoli la notizia della risurrezione di Gesù. Per questo sarà chiamata. nella tradizione della Chiesa, apostolo degli apostoli. Non avrebbe mai potuto ricevere quella missione, senza quel primo incontro. Così Giovanna e molte altre donne che danno una dimensione femminile a quel primo gruppo di discepoli del Signore. Sono discrete, lavorano sodo e nel silenzio, ma sanno tutto e sono più forti degli uomini. Non si perdono quando c’è la croce. Stanno sulla via del calvario e poi vicino a Gesù a confortarlo con Maria sua Madre. Tutto questo cominciò con la guarigione dagli spiriti cattivi. Il ricordo di quella guarigione era nella loro anima come una fonte inesauribile di gratitudine e di pace.
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MARIA CORREDENTRICE E L’APOSTOLATO CRISTIANO
Omelia di don Matteo Fabbri, Novena all’Immacolata, Duomo di Milano 6 dicembre 2012 S. Messa vigiliare della Solennità di Sant’Ambrogio
che ci è proposto dalla liturgia: la barca dei discepoli, nella quale è facile vedere la anticipazione della Chiesa, è sballottata dalle onde finché non giunge Gesù, camminando sulle acque. È solo quando i discepoli vogliono prenderlo a bordo, che la barca tocca rapidamente la riva e giunge così a destinazione. Questo vale per la Chiesa intera: essa, come Maria, trova la sua forza e la sua efficacia solo in Gesù, solo nella sua effettiva unione con Cristo, suo Sposo. Ma questo vale anche per ciascuno di noi, come stiamo vedendo in questa Novena. L’esempio della Madonna ci sprona verso una vita cristiana più vera, più autentica, e lo abbiamo assaporato; come a Cana, Ella ci dice: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela”[2]. Ci esorta ad aprire il nostro cuore per accogliere Gesù, a volerlo prendere a bordo della nostra vita. Possiamo applicare queste considerazioni alla santificazione personale, alla nostra lotta, ma anche alla partecipazione di ciascuno di noi alla corredenzione. È l’apostolato cristiano. Esso può avere efficacia solo se siamo in Cristo, solo come traboccare della vita interiore e della grazia dallo Spirito Santo che ci muove. È uno dei punti che il Papa ci ha voluto far considerare in questo Anno della fede: “Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato (…) Caritas Christi urget nos (2 Cor 5, 14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra”[3]. Parole chiare e impegnative, che ci richiamano alla enorme ricchezza della nostra vita cristiana, che naturalmente tende a straripare intorno a noi, in cascate di esempio gioioso, di testimonianza vibrante e di consiglio amichevole. Troppo spesso siamo pervasi da una mentalità individualista anche nel modo di vivere la nostra fede: tendiamo a pensare che in fondo anche nel rapporto con Dio valga il detto “si salvi chi può!”, riduciamo la fede ad una opinione personale o a una convinzione da seppellire nel privato[4]. La Madonna ci insegna il contrario: Ella è Madre della Chiesa nascente e si affatica nel curare e mantenere la fede degli Apostoli: pensiamo a quello che sarà stato il suo ruolo nel primo Sabato Santo, giorno in cui Ella era l’unica credente. Con il suo affetto materno ha contribuito a mantenere viva nei discepoli almeno la fiammella del rimpianto, che ha permesso loro di essere ancora insieme la mattina della Pasqua.
ED ERA NOTTE. Il turbamento di Gesù nell’ultima cena.
In quel tempo (mentre era a mensa coni suoi discepoli) Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse:«Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo
San Paolo esorta i Filippesi ad avere gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù quando donò se stesso annullandosi nella morte di croce. Le letture della Messa del martedì santo ci aiutano a entrare in quei sentimenti di Gesù, a provare a vivere con lui la sua passione. Gesù è commosso profondamente dal tradimento di uno dei suoi discepoli, che sta per accadere. Il vangelo del martedì santo comincia con la previsione del tradimento di Giuda e termina con la previsione del rinnegamento di Pietro. Gesù è preso, turbato e commosso: da un amico che lo tradirà e dal discepolo- roccia su cui ha costruito la Chiesa, che lo rinnegherà. I discepoli si guardano l’un l’altro perché sanno che chiunque di loro lo può tradire. Si conoscono. Sanno di che pasta sono fatti. Non hanno però particolari pregiudizi. Non hanno fatto comunella tra loro per designare il più cattivo,
sono sprovvisti di capro espiatorio, in questo dovremmo imitarli. Discutono su chi può essere il più grande, ma non osano dire chi è il più peccatore. In questo sono onesti e realisti. Hanno uguali possibilità di vincere il premio negativo, la maglia nera. Pietro e Giovanni, il più anziano e il più giovane, che stanno accanto a Gesù si guardano e si capiscono rapidamente. Forse non era piaciuto a Pietro quando Giovanni aveva chiesto, insieme al fratello Giacomo, di sedere nei posti principali del regno di Gesù, ma adesso, nel momento della difficoltà, della crisi, si uniscono. Giovanni si appoggia sul petto di Gesù. Origene scoprirà il collegamento tra questa scena e il prologo del Vangelo di Giovanni: là Giovanni dirà che Dio che nessuno ha mai visto ce lo ha rivelato colui che sta nel seno del Padre. Giovanni, il discepolo amato, che sta nel seno di Gesù, analogamente ci rivelerà il Figlio, come il Figlio ci ha rivelato il Padre. Con il suo apostolato e il suo vangelo. Anche noi tutti siamo chiamati a essere apostoli di Gesù, e troviamo la forza e la chiarezza per farlo, stando reclinati sul suo petto. La preghiera, l’unione con Dio, l’amore per lui, il chiedere a lui perdono dei peccati, è questo: stare appoggiati al suo petto, ascoltare il cuore di Dio. Gesù tenta fino all’ultimo di recuperare Giuda. Gli da il boccone. I greci chiamano così, con quella parola, boccone (psomion) la particola eucaristica. Capiamo un po’ del suo turbamento infinito. Benedetto XVI nel suo secondo libro su Gesù di Nazaret spiega che “Gesù in quell’ora si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenze che viene in ogni tempo dall’essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie della storia” (pag. 81). E’ significativo che i discepoli nonostante ciò che ha detto Gesù: uno di voi mi tradirà, e quello che ha detto a Giovanni: è lui, non si accorgano, non pensino male: pensano che Giuda andrà a comprare cibo o a dare qualcosa ai poveri. Così Gesù permette che accada a volte, o spesso. Che non ci accorgiamo. Siamo così limitati. Non siamo onnipotenti né onniscienti, noi discepoli di Gesù, non siamo i padroni della storia, non siamo più del maestro. Gesù non vuole che lo siamo, che ci crediamo chissà chi. Il Maestro rispetta grandemente la nostra libertà. E i suoi disegni non sono i nostri, e le sue strade non le conosciamo. Non incita i discepoli a uscire, a inseguire Giuda, a convincerlo, a bloccarlo. Non svela la sua interiorità misteriosa che Lui conosce. E orienta al bene anche quel male, quel tradimento: che diventa l’occasione della sua cattura e della sua passione e croce e morte e risurrezione. Della nostra Redenzione. Ed era notte, dice il vangelo. Nell’omelia tra pochi intimi del suo primo martedì santo da Papa, il Papa Francesco, diceva che tutti noi conosciamo la notte del peccatore. Quanti giorni abbiamo avuto di questa notte! Quanti tempi! Quando la notte giunge ed è tutto buio nel cuore…Poi la speranza si fa largo e ci spinge a un nuovo incontro con Gesù. Di questa notte del peccatore, diceva, non abbiamo paura. La cosa più bella è dire il nome del peccato, confessandolo, e così, fare l’esperienza di san Paolo che affermava che la sua gloria era Cristo crocifisso nei suoi peccati. Perché? Perché lui, nei suoi peccati, ha trovato Cristo Crocifisso che lo perdonava… il Papa ha ripreso “la dolcezza del perdono” che si chiede nell’orazione colletta della Messa del martedì santo: “Concedi a questa tua famiglia, o Padre, di celebrare con fede i misteri della Passione del tuo Figlio, per gustare la dolcezza del tuo perdono”.…In mezzo alla notte alle tante notti, ai tanti peccati che noi facciamo, perché siamo peccatori, c’è sempre quella carezza del Signore, che fa dire: Questa è la mia gloria. Sono un povero peccatore, ma Tu sei il mio Salvatore!…Pensiamo che bello è essere santi, ma anche che bello è essere perdonati…Abbiamo fiducia in questo incontro con Gesù e nella dolcezza del suo perdono.” La dolcezza del perdono la gusterà Pietro tra poche ore, anche se piangerà amaramente. Povero Gesù: abbandonato da tutti. “Mi lascerete solo”. Dopo aver letto il vangelo capiamo meglio come si applichi a Gesù la prima lettura della Messa dal profeta Isaia. Possiamo intravedere nel dialogo tra il servo e Dio qualcosa del misterioso e sublime dialogo tra il Figlio e il Padre: Dal seno materno mi ha chiamato, ha reso la mia bocca come spada affilata (la missione che il Padre ha dato al Figlio presso di noi). E Dio gli dice : “Mio servo sei tu, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria”. Ma il servo gli manifesta un senso di inutilità nella sua missione: Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma Dio risponde al suo servo: E’ troppo poco che tu sia mio servo…Io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra.(cfr Is. 49,1-6). Con queste parole chiameremo Gesù nella notte della Risurrezione. Lumen Christi! Luce delle nazioni. E’ consolante che il servo abbia avuto la tentazione dell’inutilità. E la risposta del Padre! E insieme con Gesù rispondiamo al Padre con il Salmo: In te, Signore , mi sono rifugiato, mai sarò deluso. Ci servirà tutte le volte che provassimo quello stesso sentimento di inutilità del nostro impegno. Sii tu la mia roccia…mia rupe e mia fortezza tu sei. Sei tu Signore la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno. La mia bocca racconterà la tua giustizia. I miei eletti non lavoreranno invano. Un ultima considerazione: nel vangelo del martedì santo, la liturgia della Chiesa ci offre il brano di Giovanni 13 senza due versetti: 34 e 35. Sono i versetti del comandamento nuovo dell’amore: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri. Forse perché ci concentrassimo sul dramma della notte, dei tradimenti, dei rinnegamenti. Ma è bello riscoprire che tra il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, Gesù propone ai suoi il comandamento nuovo. Pieno di speranza nella forza soprannaturale del suo amore in noi. Capace di vincere le tenebre. Cosi, in punta di piedi, cerchiamo di fare nostri alcuni degli insondabili sentimenti di Gesù, e dei suoi desideri verso di noi. Accompagnati da Maria, e guardando a lei diciamo con Gesù al Padre: “dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno”(cfr Sal 70(71))
LA PASSIONE DI GESU’ E IL BUON LADRONE
ALLA FINE DEL MONDO.Meditazione sulle prime parole di Papa Francesco.
Come se fossimo in un soggiorno e solo venti persone. Ha reso il mondo un tinello di casa. E si riscopre il valore di una parola così comune. Di un saluto così abituale e abitudinario: davvero sentiamo che ci augura con il cuore una buona serata! Come se non fosse lui il protagonista della bellezza di questa sera.Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma, sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo… ma siamo qui… Commozione e applauso. Ci insegna senza darsi arie da maestro: voi sapete. In realtà, così chiaro e con così poche parole che quello fosse lo scopo del conclave forse nessuno l’aveva mai detto. E per la prima volta in questa sera parla del vescovo di Roma. Adesso si che lo sappiamo. Ce lo dice come se fosse semplicemente una cosa che andava fatta, perché Roma ha bisogno di un Vescovo. I cardinali sono fratelli nelle sue parole, come noi, a cui ha augurato buona sera. Sembra: proprio così dice, sembra, perché forse è un sogno da cui lui e noi ci sveglieremo tra poco. Sembra (anche questa è una cosa che non è mai successa!) che lo siano andati a prendere, a scovare con un lanternino, per lo meno così sembra, quasi alla fine del mondo! Questa è, come diciamo noi, in senso superlativo proprio: “la fine del mondo!” Chi conosce gli argentini e l’Argentina sa che loro sono consapevoli della loro grande terra, che contiene in sé anche un nuovo confine della terra, un nuovo finis terrae, rispetto a quello del vecchio mondo.
La semplicità del buonasera iniziale, diventa affettuosità del buonanotte e del buon riposo. Anche : a presto! è un saluto molto familiare e detto fra amici. In poche parole quanta affabilità condensata. Vuole rivederci presto. Ci lasciamo solo per questa notte, per il riposo. E’ stata una buona sera, come ci aveva augurato e sarà una buona notte e un buon riposo. Perché la benedizione del Padre dona serenità ai figli e rende salda la loro casa. Casa protetta dall’affidamento alla Madonna l’indomani. Come un proposito di bene con cui si riposa meglio.
STUPORE
Cominciamo a pubblicare testi di don Valentino Guglielmi. Sono tratti da una raccolta pro manuscripto preparata da suoi parrocchiani, dal titolo “Raccontare l’amore”. Pensando agli avvenimenti grandi ed emozionanti che la Chiesa sta vivendo in questi giorni, e che nella visione di Dio anche don Valentino conosce, scegliamo questa scheda sullo stupore. Spesso le sue brevi ed incisive meditazioni erano rivolte a sposi o a fidanzati in preparazione del matrimonio, lo si comprende dalle parole finali. Ma ci aiutano anche a capire qualcosa della Chiesa sposa di Cristo.
Stupore è l’emozione prodotta nel cuore dall’incontro con qualche cosa di inatteso, non previsto e non prevedibile. Contiene una valenza negativa: evidenzia infatti il limite della mia ignoranza, mi fa sapere quanto poco ho conosciuto fino ad ora, e una valenza positiva: mi offre di interrompere la noia del già visto, mi incoraggia ad avanzare e ad aprirmi ad orizzonti nuovi. Lo stupore mi pone davanti ad un bivio: chiudo alla novità e mi giro sull’altro fianco per continuare a dormire oppure mi appassiono, mi alzo e mi metto sulla strada? Incamminarmi vuol dire investire nuove energie, mi propone una conversione senza condizioni, mi fa abbandonare il vecchio abitudinario e mi riaccende la vita.
Per questo l’attenzione deve volgersi all’oggetto che viene prima dell’emozione e l’ha prodotta. Quello che devo fare su di me è cercare la temperanza, armonia dei sensi e del cuore, devo cercare il distacco: mia è l’emozione non l’oggetto che l’ha prodotta ed infine devo accettare il mio limite, riconoscermi ignorante, condizione per imparare. Se la cosa è nuova devo tenerla come tale e non diluirla nel già noto, ne spegnerei la originalità.
5 marzo 2008
LA VOCAZIONE DEL CUSTODIRE.
Bellissimo ritratto della vocazione di san Giuseppe, del cristiano, dell’uomo, del Papa. San Giuseppe, 19 marzo 2013. Offro alla lettura l’omelia integrale di Papa Francesco nella Messa della solennità di san Giuseppe, inizio del suo ministero di successore di Pietro, con alcune mie introduzioni e commenti. Notate come all’inizio, dopo l’introduzione e i saluti, ritrae con profondità e ricchezza san Giuseppe. Con quale sapienza da una parola della scrittura trae cose vecchie e nuove come il padre di famiglia a cui paragona il regno dei cieli Gesù. Giuseppe è custode perché prende con sé Maria e poi il Bambino. Custode della Chiesa. Si dedica a Maria con amorevole cura. Si dedica con gioioso impegno all’educazione di Gesù. Protegge la Chiesa. E’ discreto, umile, silenzioso. Ha una presenza costante E’ totalmente fedele anche quando non comprende. Accompagna con premura e con amore in ogni momento.E’ accanto nei momenti sereni e in quelli difficili. Nei momenti quotidiani. insegna il mestiere a Gesù. Ha costante attenzione a Dio, disponibile al suo progetto. Sa ascoltare Dio, per questo è custode. Si lascia guidare dalla sua volontà e per questo è più sensibile alle persone affidate.Legge con realismo gli avvenimenti. Prende le decisioni più sagge. Così si risponde alla vocazione di Dio: disponibilità, prontezza, e il centro è Cristo. E’ difficile sintetizzare il ritratto di Giuseppe che fa papa Francesco perché è fatto di pennellate tutte di colori diversi. Guardate ci sono tutti i colori. Ci viene da pensare che è un po anche il suo ritratto, e che così guiderà la Chiesa.“Cari fratelli e sorelle! Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.Abbiamo ascoltato nel Vangelo che ‘Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa’. In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere ‘custos’, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: ‘San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello’.Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e con amore ogni momento.
È accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è ‘custode’, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo!””A questo punto dopo aver ritratto con meraviglia di colori l’animo e la vocazione di Giuseppe, la applica, in sintesi alla vita di ciascuno di noi: così dobbiamo vivere anche noi. Nella lapidaria frase c’è l’apertura alla custodia anche del creato. Questa è la nostra vocazione:“Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!”Subito dopo altra apertura vertiginosa: non è vocazione solo cristiana, l’imitare Giuseppe, ma anche umana, per lo meno nella dimensione della custodia del creato e delle creature. La chiama audacemente e con grande bellezza “la vocazione del custodire“:“La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!”Notiamo che questa vocazione ed esortazione è rivolta a tutti: custodi dei beni di Dio.E subito dopo come a confermare la bellezza della vocazione, ci offre il rovescio della medaglia: quando non lo facciamo il cuore inaridisce: lì dobbiamo cercare la causa, abbiamo smesso di custodire.“E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli ‘Erode’ che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.”In particolare vi è chiamato chi ha ruoli di responsabilità: “Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo ‘custodi’ della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”E la cura di noi stessi? che posto ha? E’ decisiva, altrimenti non possiamo custodire gli altri. E come intenderla? Il Papa Francesco la intende come cura del bene che è in noi e combattimento con il male.“Ma per ‘custodire’ dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono!” E come dobbiamo lottare contro il male che serpeggia in noi? Forse limitandoci ad un atteggiamento severo contro noi stessi? No: in positivo, bontà e tenerezza sono il rimedio, nel rapporto con gli altri e con il creato, e con Dio. Tenerezza che non è debolezza, anzi è fortezza.“Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!.E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!Questa è anche la vocazione del Papa che deve intendere il proprio potere come servizio. Come quello di Giuseppe. Come Cristo sulla Croce.“Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere. Solo chi serve con amore sa custodire!Come si mette insieme questa chiamata del Papa e di ciascuno con gli orizzonti bui dell’umanità? E’ la soluzione: custodire ogni uomo e ogni donna con amore e il creato, è aprire alla speranza.“Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale ‘credette, saldo nella speranza contro ogni speranza’. Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.Ecco in sintesi la bellissima e altissima chiamata a custodire, del Papa e di ognuno di noi, per portare speranza. Guardate bene: all’inizio dice che la prima custodia è di Gesù con Maria!“Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!”.Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen”.Grazie Papa Francesco di queste parole così dense e chiare, affascinanti e profonde che non se ne può saltare neanche una. Preghiamo per te, e sappiamo che tu, insieme con Benedetto XVI preghi per noi, che si compia questa altissima vocazione cristiana e umana che ci hai oggi spiegato con tanta sapienza.
Il sogno di Giuseppe e l’angelo: Benedetto XVI, il Conclave, il futuro Papa
Nella festa di san Giuseppe del 1992 il card. Ratzinger pronunciò un’omelia che contiene considerazioni della sua preghiera che possono aiutarci a capire la sua vita successiva: l’accettazione a proseguire il suo compito di prefetto della dottrina della fede nonostante le dimissioni presentate a 75 anni a Giovanni Paolo II e da lui respinte, il si alla chiamata ad essere Papa il 19 aprile, e le recenti dimissioni. Forse ci può anche aiutare a capire quale spirito dovrà avere il futuro Papa, a pregare san Giuseppe per il conclave che inizia il 12 marzo, durante la novena di preparazione alla festa di san Giuseppe. Ad affidare la Chiesa e il Conclave e il prossimo Papa al patrono della Chiesa universale. In corsivo i miei commenti. Così cominciava l’omelia:: “Di recente ho visto in casa di un amico una rappresentazione di san Giuseppe che mi ha fatto pensare molto. È un rilievo preso da una pala d’altare portoghese di epoca barocca, che rappresenta la notte della fuga in Egitto. Vi è raffigurata una bottega aperta e accanto un Angelo in piedi. Lì dentro, Giuseppe, vestito da pellegrino con alti sandali ai piedi, pronto per un difficile cammino, sembra dormire. Ad un primo sguardo pare strano
che un viandante possa dormire, ma riflettendoci attentamente si può intuire che cosa l’immagine vuole suggerire” Facciamo una prima sosta per immaginare un’identificazione dell’omileta con san Giuseppe. La bottega é il suo ufficio di prefetto della Congregazione della dottrina della fede e, in profezia inconsapevole, il suo futuro ufficio di Papa, quello della finestra che si apre su piazza san Pietro. Lui sta con gli abiti del pellegrino. In questo abito che card. Ratzinger nota, ritroviamo un’immagine classica della vita cristiana. L’autore dell’omelia peregrinerà verso luoghi non scelti da lui: essere Papa a 78 anni. Nelle sue ultime parole da Papa a Castelgandolfo così si definirà: non sarò più Papa, sono un pellegrino che compie il suo viaggio verso l’ultima meta. Continuiamo ad ascoltare l’omelia:“Giuseppe, senz’altro dorme ma allo stesso tempo sta in ascolto della voce dell’Angelo (Mt 2,13ss). Questa scena richiama quella del Cantico dei Cantici dove il poeta dice: io dormo, ma il mio cuore veglia (Cant 5,2). Riposano i sensi esterni ma le profondità dell’anima sono libere. Quella bottega aperta è la figurazione dell’uomo che ode ciò che risuona nella sua intimità, o che gli viene detto dall’alto l’uomo che ha il cuore sufficientemente disposto a ricevere la parola che il Dio vivente e il suo Angelo gli vogliono comunicare. In quelle profondità l’anima di ciascuno di noi può incontrare Dio che gli parla, facendosi vicino.” È molto bella questa immagine della nostra vita. Possiamo applicarla anche al nostro lavoro, alla nostra bottega, e più ampiamente a tutti gli ambiti quotidiani della nostra vita: li possiamo stare in ascolto di Dio e del suo angelo. “Tuttavia, il più delle volte ci ritroviamo travolti dalle preoccupazioni, dalle inquietudini, dalle aspettative e dai desideri di ogni genere, e così strapieni di immagini e di vincoli prodotti dal vivere quotidiano, che, per quanto stiamo attenti esternamente, si rende indispensabile una intensa vigilanza interiore per poter ascoltare le voci che parlano all’anima Essa è tanto appesantita dalle molte barriere elevate dentro di sé, che la voce del Dio vicino non può farsi sentire. Con l’avvento dell’età moderna, noi uomini abbiamo dominato sempre di più il mondo, sfruttandone le cose per i nostri desideri; ma i nostri progressi nel dominio sulle cose e la conoscenza di ciò che è realizzabile attraverso di esse, ha ridotto la nostra sensibilità in tale maniera da far diventare il nostro universo unidimensionale. Siamo dominati dalle nostre cose e da tutti gli oggetti costruiti dalle nostre mani diventati strumenti per produrre altri oggetti. In sostanza non vediamo che la nostra immagine e non siamo in grado di ascoltare la voce profonda che dalla Creazione ci parla, anche oggi, della bontà e della bellezza di Dio. Giuseppe dorme, ma è pronto ad ascoltare ciò che sente dentro il suo cuore e dall’alto – perché come dice il Vangelo che abbiamo appena letto –, egli è l’uomo che riunisce in sé l’intimo raccoglimento e la prontezza nell’agire Dalla bottega aperta della sua vita, ci invita a ritirarci dal chiasso dei sensi per poter recuperare il raccoglimento; a rivolgere lo sguardo all’interno di noi stessi e verso l’alto perché Dio possa toccarci l’anima e comunicarci la sua parola. La Quaresima è tempo adatto per allontanarci dagli affanni e dirigere i nostri passi sui cammini dello spirito.” Giuseppe che dorme e che ascoltala voce dall’alto può essere una immagine potente che ci ricorda i cardinali riuniti in conclave ad ascoltare la voce dello Spirito, la voce dall’alto, che chiamerà uno di loro dove lui non vuole. “Vediamo Giuseppe pronto ad alzarsi e, come dice il Vangelo, a compiere la volontà di Dio (Mt 1,24; 2,14). Così egli si inserisce nella vita di Maria, nella risposta ch’ella darà al momento decisivo della sua esistenza: ecco la serva del Signore (Lc 1,38). Così san Giuseppe risponde: Ecco il tuo servo, disponi di me. La sua risposta coincide con quella di Isaia quando ricevette la chiamata: eccomi, Signore, manda me (Is 6,8, e 1 Sam 3,8ss). Questa chiamata, da allora in poi, conformerà l’intera sua vita. Ma similmente c’è un altro testo della Scrittura: l’annunzio che Gesù fa a Pietro dicendogli: ti porteranno là dove non vorresti andare (Gv 21,10). ” Questo accenno del card. Ratzinger, letto oggi risuona profetico per la sua vita e anche per la vita del prossimo Papa: Dio gli ha chiesto di essere Papa e poi anche di rinunciare al ministero di Pietro dopo otto anni. Ai seminaristi di Roma tre giorni prima di dare l’annuncio delle sue dimissioni parlava di Pietro e delle parole profetiche di Gesù in questo modo: “Certamente (Pietro, andando a Roma) si è ricordato anche delle ultime parole di Gesù a lui rivolte, riportate da san Giovanni: “Alla fine, tu andrai dove non vuoi andare. Ti cingeranno, estenderanno le tue mani” (cfr Gv 21,18). E’ una profezia della crocifissione. I filologi ci mostrano che è un’espressione precisa, tecnica, questo “estendere le mani”, per
Per tutto ciò ringraziamo Dio nel giorno della festa di questo Santo che ci parla di raccoglimento, che ci insegna la prontezza, l’obbedienza e l’atteggiamento dei viandanti che si lasciano guidare da Dio; e che ci indica il modo di servire su questa terra. Imploriamo la grazia affinché, facendoci conoscere la vigilanza e la prontezza, possiamo essere un giorno ricevuti da Dio: vera meta dei viandanti”. Che san Giuseppe, amico della libertà di Dio, come lo definiva san Josemaría protegga e aiuti la Chiesa, Benedetto XVI, il Conclave e il futuro Papa.
GLI SI GETTÒ AL COLLO E LO BACIÒ.Il Padre perdona i due figli e fa festa con loro
Meditazione sulla parabola del figliol prodigo. Dal libro di Andrea Mardegan IL SACRAMENTO DELLA GIOIA. PREPARARSI ALLA CONFESSIONE MEDITANDO IL VANGELO (2011)
Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre (Lc 15,17-20a).
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa (Lc 15,20b-24).
MARIA ALL’INIZIO DELLA FEDE. LA VOCAZIONE E LA SPERANZA
È del tutto privo di logica che Gesù si rivolga a dei pescatori e non cerchi i suoi seguaci tra persone più dotte o di più elevato livello sociale, o… con più virtù.