Fin dai primi istanti della vita del Figlio di Dio su questa terra la povertà ha pervaso la sua esistenza; solo pochi giorni dopo, l’oscura minaccia del re Erode, geloso del suo potere, costringe la Sacra Famiglia alla fuga in Egitto. Passano pochi anni, e, di fronte all’inspiegabile comportamento di Gesù dodicenne che si ferma nel Tempio di Gerusalemme all’insaputa dei suoi, la Madonna e san Giuseppe non comprendono le sue parole, come l’evangelista afferma senza mezzi termini. La vita della Madonna, che pur nasce e si sviluppa all’insegna della fede, come risposta alla chiamata di Dio, non per questo non conosce difficoltà e oscurità, che culminano nella “notte” della Croce. La sofferenza indicibile della Madre di fronte al supplizio del Figlio Crocifisso non potrà mai essere da noi sufficientemente compresa.
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COMUNITA’ APERTE ALLO SPIRITO SANTO CHE CI PORTANO SEMPRE AVANTI, Omelia di Papa Francesco del 27 aprile 2013
patteggiare col potere, risolvere le difficoltà ma ‘fra noi’… Come hanno fatto quelli, la mattina della Resurrezione, quando i soldati sono andati a dir loro: ‘Abbiamo visto questo’… ‘State zitti! Prendete…”. E con i soldi hanno coperto tutto. Questo è proprio l’atteggiamento di questa religiosità chiusa che non ha la libertà di aprirsi al Signore. La loro vita comunitaria per difendere sempre la verità, perché loro credono di difendere la verità, è sempre la calunnia, il chiacchierare… Davvero, sono comunità chiacchierone, che parlano contro, distruggono l’altro e guardano dentro, sempre dentro, coperte col muro. Invece la comunità libera, con la libertà di Dio e dello Spirito Santo, andava avanti, anche nelle persecuzioni. E la parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. E’ proprio della comunità del Signore andare avanti, diffondersi, perché il bene è così: si diffonde sempre! Il bene non si corica dentro. Questo è un criterio, un criterio di Chiesa, anche per il nostro esame di coscienza: come sono le nostre comunità, le comunità religiose, le comunità parrocchiali? Sono comunità aperte allo Spirito Santo, che ci porta sempre avanti per diffondere la Parola di Dio, o sono comunità chiuse, con tutti i comandamenti precisi, che caricano sulle spalle dei fedeli tanti comandamenti, come il Signore aveva detto ai Farisei? La persecuzione incomincia proprio per motivi religiosi e per la gelosia, ma i discepoli erano pieni di gioia di Spirito Santo, parlano con la bellezza, aprono strade. Invece la comunità chiusa, sicura di se stessa, quella che cerca la sicurezza proprio nel patteggiare col potere, nei soldi, parla con parole ingiuriose: insultano, condannano… E’ proprio il suo atteggiamento. Forse si dimenticano delle carezze della mamma, quando erano piccoli. Queste comunità non sanno di carezze, sanno di dovere, di fare, di chiudersi in una osservanza apparente. Come Gesù gli avete detto: ‘Voi siete come una tomba, come un sepolcro, bianco, bellissimo, ma niente di più’. Pensiamo oggi alla Chiesa, tanto bella: questa Chiesa che va avanti. Pensiamo ai tanti fratelli che soffrono per questa libertà dello Spirito e soffrono persecuzioni, adesso, in tante parti. Ma questi fratelli, nella sofferenza, sono pieni di gioia e di Spirito Santo. Guardiamo Gesù che ci invia a evangelizzare, ad annunciare il suo nome con gioia, pieni di gioia. Non dobbiamo aver paura della gioia dello Spirito, così da non chiuderci in noi stessi.
LASCIARE CHE GESU’ PREPARI IL NOSTRO CUORE – Papa Francesco 26 aprile 2013
E comincia a parlare di che? Del cielo, della patria definitiva. Abbiate fede anche in me: io rimango fedele, è come se dicesse quello, no? … Con la figura dell’ingegnere, dell’architetto dice loro quello che andrà a fare: Vado a prepararvi un posto, nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. E Gesù va a prepararci un posto. Com’è quel posto? Cosa significa ‘preparare il posto? Affittare una stanza lassù? Preparare il posto è preparare la nostra possibilità di godere, la possibilità – la nostra possibilità – di vedere, di sentire, di capire la bellezza di quello che ci aspetta, di quella patria verso la quale noi camminiamo. E tutta la vita cristiana è un lavoro di Gesù, dello Spirito Santo per prepararci un posto, prepararci gli occhi per poter vedere…
Gli occhi nostri, gli occhi della nostra anima hanno bisogno, hanno necessità di essere preparati per guardare quel volto meraviglioso di Gesù. Preparare l’udito per poter sentire le cose belle, le parole belle.
E principalmente preparare il cuore: preparare il cuore per amare, amare di più. Nel cammino della vita il Signore prepara il nostro cuore con le prove, con le consolazioni, con le tribolazioni, con le cose buone. Tutto il cammino della vita è un cammino di preparazione. Alcune volte il Signore deve farlo in fretta, come ha fatto con il buon ladrone: aveva soltanto pochi minuti per prepararlo e l’ha fatto. Ma la normalità della vita è andare così, no?: lasciarsi preparare il cuore, gli occhi, l’udito per arrivare a questa patria. Perché quella è la nostra patria. Ma, Padre, io sono andato da un filosofo e mi ha detto che tutti questi pensieri sono una alienazione, che noi siamo alienati, che la vita è questa, il concreto, e di là non si sa cosa sia…’. Alcuni la pensano così… ma Gesù ci dice che non è così e ci dice: ‘Abbiate fede anche in me’. Questo che io ti dico è la verità: io non ti truffo, io non ti inganno. Prepararsi al cielo è incominciare a salutarlo da lontano. Questa non è alienazione: questa è la verità, questo è lasciare che Gesù prepari il nostro cuore, i nostri occhi per quella bellezza tanto grande. È il cammino della bellezza e il cammino del ritorno alla patria. Che il Signore ci dia ‘questa speranza forte’, il coraggio e anche l’umiltà di lasciare che il Signore prepari la dimora, la dimora definitiva, nel nostro cuore, nei nostri occhi e nel nostro udito. Così sia”.
VERSO LE PERIFERIE DELL’ESISTENZA. Lettera di Papa Francesco ai Vescovi Argentini
Ma, di fronte a questa alternativa, vi voglio dire francamente che preferisco mille volte un Chiesa ferita che una Chiesa ammalata. La malattia tipica della Chiesa chiusa è l’autoreferenzialità; guardare se stessa, essere incurvata su se stessa come quella donna del vangelo [fa riferimento alla donna di cui il vangelo dice: “C’era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo.” Lc 13,11, ndt]. È una specie di narcisismo che ci spinge prima a una sorta di mondanità spirituale e di sofisticato clericalismo, e poi ci impedisce di sperimentare “la dolce e confortante gioia di evangelizzare”.
Que Jesús los bendiga y la Virgen Santa los cuide.
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LA PREGHIERA DELLA MANO, DI PAPA FRANCESCO
1. Il pollice è il dito a te più vicino. Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono più vicini. Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri cari è “un dolce obbligo”.
1. El pulgar es el más cercano a ti. Asi que empieza orando por quienes estan más cerca de ti. Son las personas más fáciles de recordar. Orar por nuestros seres queridos es “una dulce obligación”
CONTEMPLAZIONE
Ecco un altro breve scritto, denso e folgorante come sempre, di don Valentino Guglielmi, sulla contemplazione. Si affaccia un risvolto a lui molto caro: la contemplazione è anche contemplazione del volto della persona. In particolare della persona amata. Il tutto parte e matura nel dialogo con Dio, e porta frutti di amore umano e di pienezza. (foto di Sofia Mardegan)
Il desiderio della felicità e la realizzazione di me stesso nel traboccare della libertà, cioè di me stesso, si maturano nell’amore. Non si tratta di un seme che mi sia stato donato perché lo gestisca mettendolo a dimora nel mio cuore e lo coltivi, sono io stesso quel seme a cui tocca l’impresa di germogliare e dare frutto. Se considero il seme come cosa mia distinta da me corro il pericolo di rimanere incapace di crescere, potrò diventare saccente ed antipatico, il Pierino della classe.
e mi lascio modificare senza sapere in anticipo che cosa diventerò mi accorgo di essere portato senza fatica da Qualcuno che mi conosce e mi ama più di quanto sia capace di fare da me stesso.
LA PESCA, LA FAMIGLIA, L’APOSTOLATO: I TRE LAVORI DI PIETRO CON GESU’ RISORTO (Gv 21, 1-19)
e il suo rinnegare il Cristo, quel Cristo che lui stesso aveva riconosciuto grazie al Padre del cielo, non per carne o sangue, ma per ispirazione divina. Lo sguardo perdonante di Gesù. Le lacrime amare. La croce vista da lontano. La paura dei giudei. Il cenacolo chiuso. Le donne, quelle donne che nessuno le tiene ferme! Il sepolcro l’hanno visto vuoto di primo mattino. E la corsa con Giovanni. E il Maestro che appare la sera e ci da quel compito così grande! E le sue piaghe! Con Tommaso a vederle e a toccarle con mano. Lo sconvolgimento è grande, la gioia è troppo forte. Ci vuole un po’ di pesca, di odori e movimenti conosciuti. Vediamo se mettiamo di nuovo i piedi per terra, questa terra, questa sabbia e questo lago da Lui visitati, calpestati… si può dire così anche per le acque, e io pure ci ho provato a camminarci su, perché Lui ti spinge ti porta, ti fa fare follie.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
SIMONE FIGLIO DI GIOVANNI MI AMI? Gesù affida il perdono dei peccati, atto d’amore, agli apostoli
MOSTRARE ALLA GENTE COME SI AMA. Mio figlio Dominic abbracciato da Papa Francesco
Ha commosso il mondo questo abbraccio di Papa Francesco nella domenica di Pasqua, dopo la Messa, a un bambino affetto da paralisi cerebrale, cercato tra la folla in piazza San Pietro. Quel bambino si chiama Dominic. E suo padre, Paul Gondreau, che è docente di teologia, statunitense, il giorno dopo ha proposto una riflessione sull’abbraccio del Papa a suo figlio pubblicata sul sito Catholic Moral Theology, dal titolo: Se mio figlio mostra come si ama. Mi hanno inviato una traduzione del suo intervento che pubblico di seguito.
«Piccoli gesti con grande amore», raccontano che dicesse Madre Teresa. Ieri Papa Francesco ha concesso una benedizione pasquale straordinaria alla mia famiglia compiendo uno di questi gesti abbracciando mio figlio Dominic, che ha una paralisi cerebrale. L’abbraccio è arrivato quando, mentre percorreva la Piazza con la papamobile dopo la Messa, in mezzo a 250 mila persone, ha visto mio figlio. Questo momento di tenerezza, l’incontro di un moderno Francesco con un moderno Domenico (come molti sanno, la tradizione riferisce che san Francesco e san Domenico ebbero la gioia di uno storico incontro), ha commosso non solo la mia famiglia (eravamo tutti in lacrime), quelli che ci erano vicini (molti dei quali piangevano con noi), le migliaia di persone che stavano guardando sui maxischermi sulla Piazza, ma il mondo intero.
Le immagini di questo abbraccio si sono diffuse con la rapidità di un virus:
il pomeriggio di Pasqua erano già la foto d’apertura del Drudge Reportcon la didascalia «Trasformate l’odio in amore» (una parafrasi del messaggo Urbi et Orbi di Papa Francesco che ha pronunciato poco dopo) e adesso mentre scrivo la foto è ancora lì sul Drudge Report. Fox News, NBC Nightly News, ABC Nightly News, e la CNN hanno mostrato tutti quella sequenza. E l’ho trovata in prima pagina anche su Le Figaro, sul New York Post, sul Wall Street Journal, sul Philadelphia Inquirer, solo per citare alcuni giornali.
Tante volte è difficile provare a spiegare alle persone che non hanno figli diversamente abili che razza di sacrifici nascosti siano richiesti a ciascuno di noi ogni giorno. Riguardo a Dominic, penso che lui ha già condiviso la Croce di Cristo molto più di quanto io abbia fatto finora durante tutta la mia vita, anche se lo moltiplicassi per mille. Che senso ha tutto questo, mi chiedo? Per di più tendo spesso a vedere la mia relazione con lui da una parte sola. Sì, lui soffre più di me, ma sono sempre io a doverlo aiutare. E’ il modo in cui la nostra cultura tende a guardare i disabili: come persone deboli, bisognose, che dipendono così tanto dagli altri e possono contribuire poco – se non niente – alla vita delle persone che stanno intorno a loro.
L’abbraccio di Papa Francesco a mio figlio ha ribaltato completamente questa logica e, in una maniera piccola ma molto potente, ha mostrato ancora una volta come la sapienza della Croce confonda la sapienza degli uomini.
Perché il mondo intero si è commosso così tanto per le immagini di questo abbraccio? Una donna in Piazza, commossa fino alle lacrime dall’abbraccio, forse ha dato la risposta migliore a questa domanda quando, poco dopo l’abbraccio del Papa, ha detto rivolgendosi a mia moglie: «Lo sa? Suo figlio è qui per mostrare alla gente come si ama». Mostrare alla gente come si ama. Questa osservazione ha colpito mia moglie: è stata come una conferma venuta dal Cielo di ciò che lei da tempo intuiva: che la vocazione speciale di Dominic, nel mondo, sia portare la gente ad amare, far vedere alla gente come si ama. Noi esseri umani siamo fatti per amare, ma abbiamo bisogno di esempi che ci indichino come farlo.
Ma come fa una persona disabile a mostrarci come si fa ad amare in un modo che solo una persona disabile è in grado di fare? Perché la Croce di Cristo è dolce ed è di un ordine più alto. La risurrezione di Cristo dalla Croce proclama che l’amore che egli ci offre – e l’amore che noi, a nostra volta, mostriamo agli altri – è il vero motivo per cui lui ha preso su di sé la sua Croce. I nostri cuori di pietra sono trasformati in un cuore simile a quello di Cristo, e quindi resi capaci di trasformare l’odio in amore, solo attraverso la Croce. E nessuno condivide l’esperienza della Croce in maniera più intima delle persone disabili. Per questo diventano i nostri modelli e la nostra ispirazione. Sì, io dò tanto a mio figlio Dominic. Ma lui mi dà di più, molto di più. Io lo aiuto ad alzarsi e a camminare, ma lui mi mostra come si ama. Io lo nutro, ma lui mi mostra come si ama. Io lo porto a fare fisioterapia, ma lui mi mostra come si ama. Io tendo i suoi muscoli e gioco con lui, ma lui mi mostra come si ama. Io lo sistemo e lo tolgo dalla sua sedia, lo porto in giro dappertutto, ma lui mi mostra come si ama. Io perdo il mio tempo, così tanto tempo, per lui, ma lui mi mostra come si ama.
Questa lezione, lo ripeto, confonde la sapienza del mondo. Mi confonde quando io, suo padre, così spesso non riesco a vedere la sua condizione per quello che è. La lezione che questo mio figlio disabile offre, è come una testimonianza potente della dignità e del valore infinito di ogni persona, specialmente di quelle che il mondo considera più deboli e più «inutili». Attraverso la loro condivisione della «follia» della Croce, i disabili diventano i più forti e i più produttivi tra di noi.
Un’ultima cosa. L’abbraccio di Papa Francesco a mio figlio Dominic indica che non dobbiamo rinchiudere la vicinanza ai poveri espressa dal nuovo Pontefice – e che già si profila come una pietra angolare del suo Pontificato – in categorie facili, puramente materiali (e solamente politiche). Il suo abbraccio pasquale a mio figlio si erge come una testimonianza del tipo di «povertà» che egli vuole adottare, la povertà che ha sottolineato nella frase iniziale del suo messaggio Urbi et Orbi: “Vorrei che l’annuncio della risurrezione di Cristo raggiungesse ogni casa e ogni famiglia, specialmente là dove la sofferenza è più grande…”. Genitori dei figli disabili, coraggio! Troviamo ristoro e incoraggiamento in queste parole semplici ma tanto profonde.
EMMAUS. GESU’ RISORTO E L’EUCARISTIA
L’episodio di Emmaus, Cristo risorto che si avvicina a due dei suoi e fa la strada con loro spiegando le Scritture su di lui, è inesauribile, sempre attuale e sempre nuovo. Lo meditai nel mio libro sull’Eucaristia: HO DESIDERATO ARDENTEMENTE. INCONTRARE CRSTO NELL’EUCARISTIA mettendone in evidenza alcuni aspetti eucristici applicabili alla nostra vita quotidiana di cristiani. Riporto i miei commenti pubblicati, per aiutare ad avvicinare Cristo Risorto nel tempo di Pasqua e sempre, attraverso quelle parole del Vangelo.
Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. (Lc 24, 13-14)