Prima domenica in preparazione alla festa di san Giuseppe e primo “dolore e gioia”
Per la prima domenica delle sette dedicate alla devozione di San Giuseppe vi propongo il passo corrispondente dal libro Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore.
Preghiera:
“Sposo purissimo di Maria, glorioso San Giuseppe, come furono grandi il travaglio e il dolore del tuo cuore nella perplessità di abbandonare la tua purissima Sposa, così fu ineffabile la gioia quando l’Angelo ti rivelò il meraviglioso mistero dell’Incarnazione.
Per questo tuo dolore e per questa tua gioia, ti preghiamo di consolare, ora e nell’ora della morte, la nostra anima, donaci la serenità di una buona vita e di una santa morte, simile alla tua che spirasti dolcemente, consolato da Gesù e Maria.”
MI SENTIVO SCHIACCIARE TRA LA TERRA E IL CIELO*
“Arrivata a Nazaret, venne subito da me. Non andò a casa a riposare, come avrebbe desiderato. Lungo tutto il viaggio aveva pensato a come mi avrebbe spiegato, a quali parole usare. Era splendida comunque. So che avrebbe voluto indossare l’abito più bello, lavarsi i capelli con l’acqua della fonte che da tre mesi non visitava, profumarsi. Ma non poteva sopportare l’idea che qualche voce arrivasse a me dai compagni di viaggio. Aveva messo vestiti larghi senza cintura, ma la voce correva. Le voci malvagie trovano sempre percorsi rapidi. Quando la vidi, lei non si nascose, anzi si accarezzò il grembo facendovi aderire l’abito.
Mi venne un colpo al cuore. Non pensai neanche per un attimo che potesse avermi tradito e che avesse violato le nostre promesse segrete. La prima cosa che pensai fu che qualcuno le avesse fatto del male. Mi guardò con preoccupazione. Con la mano sul grembo mi disse solo: «Giuseppe». Poi mi prese la mano e la portò sul suo grembo. Ad accarezzarlo. In quell’istante il bambino si mosse. Ebbi un’illuminazione. Questo bimbo viene da Dio. La voce di Maria fu veicolo dello Spirito Santo, come molte altre volte sperimentai. E anche il suo corpo e il corpo di suo figlio. Toccando entrambi ricevevo sempre una grande forza e un’infinita tenerezza.
Aggiunse con immensa dolcezza: «Giuseppe, quel messia di cui tanto abbiamo parlato e che desideravamo presto tra noi arriva dal cielo, e attraverso di me. Sono la prescelta, per la mia piccolezza. Ti ricordi quella volta prima di partire per Ain Karim, alla fontana? Il giorno precedente avevo ricevuto un messaggero dal cielo. Fu lui anche a dirmi di Elisabetta. Per questo andai, ed è valsa la pena. Mi sei mancato molto e non ti ho mai dimenticato». A quel punto, guardandomi e con gli occhi in lacrime, sentendo addosso a sé tutto il mio sconcerto e la mia confusione per una notizia così grande, scappò via piena di gioia e di trepidazione.
Appena rimasi solo fui assalito dai dubbi su come far fronte a questo avvenimento che percepivo immensamente più grande di me. E mi veniva il timore di non essere all’altezza, di non essere degno di essere coinvolto in questo mistero, di non essere stato chiamato da Dio. E mi chiedevo anche: “Che penserà la gente? Che cosa penserà di me? E di lei?”. E così mi chiudevo nella mia inquietudine e vi rimanevo legato.
Maria non era accanto a me per rispondermi e per consigliarmi, mi mancava. Capivo che lei voleva lasciarmi solo con me stesso e con Dio, non mi voleva forzare. È sempre stata innamorata della libertà che Dio ci ha donato. Della libertà con cui lei ha risposto alla chiamata, e la voleva con tutte le forze anche per me. Pensavo: “Se Dio non mi ha fatto sapere nulla, io non posso prendere Maria come sposa, se Dio l’ha scelta come sua sposa. Non posso prendere il posto di Dio. Non posso apparire falsamente come padre di questo bambino che lui ci ha mandato. Chi mi conosce – anche tu, o Dio – sa da sempre che odio ogni forma di falsità, di doppiezza”.
Mi costava infinitamente stare fuori dalla vita di Maria, ma ero stato educato alla sacralità di Dio. Sapevo che Dio non si poteva vedere senza morire. Che nel santo dei santi del tempio, dove è più forte la sua presenza, solo il sacerdote poteva entrare. Maria era consapevole che io stavo soffrendo, lo sentivo, e mi accompagnava con la preghiera. Io nella mia casa e lei nella sua. A un centinaio di passi.
Tra me e me riflettevo: “Ormai la gente del paese saprà che lei è incinta e penserà che sia stato io, prima della sua partenza per Ain Karim, tre mesi fa. I più malevoli immagineranno che nel viaggio abbia incontrato un uomo e si diranno l’un l’altro: vediamo se, quando nasce, assomiglia a Giuseppe. Che pensino male di me mi dispiace, che pensino male di lei ancora di più. Anche se so che ciò che conta è essere giusti davanti a Dio e al proprio cuore. Lei è fidanzata con me e per la nostra legge è come se fosse già sposa: se morisse io sarei considerato vedovo. Devo fare un atto che la sciolga dall’impegno di essere mia sposa. Un atto pubblico mi sembra impossibile. Se dicessi: vi ricordate che nella Scrittura Eva disse, nel dare un nome a Caino, il suo primo figlio: ‘Ho acquistato un uomo grazie al Signore’? Ebbene a Maria, mia sposa, nuova Eva, è successo proprio questo, ma in modo letterale: questo bimbo viene dall’Altissimo. Vi assicuro che non abbiamo avuto rapporti coniugali né lei ne ha avuti con alcuno, e quindi io la devo lasciare, lei è terra sacra…
No, non posso, non mi crederebbero mai, e la esporrei al rischio di lapidazione, anche se, nel caso delle spose, i giudici tendono a non procedere se non c’è la sicurezza che il padre è davvero un altro uomo. Eppure io non posso, senza una chiamata di Dio esplicita, prendere con me la sua sposa e suo figlio, come se fossero miei. Posso pensare a un ripudio in segreto. Se sarà necessario avere due testimoni, li sceglieremo insieme a Maria. Forse i suoi genitori o i miei. O Elisabetta e Zaccaria, forse potranno capire. Lo spiegherò a Maria: Dio provvederà, ti darà lo sposo adatto a questo compito inimmaginabile. Ma lei non accetterà: come posso costringerla a svelare un segreto così grande che lei ha con l’Altissimo?”
I pensieri vorticavano in questo modo. Ero sul mio giaciglio. Mi giravo e rigiravo nella notte. Mi assalivano gli incubi. Mi sentivo schiacciare tra la terra e il cielo. Alla fine arrivai a una decisione: l’unica via d’uscita che salvava me dal fare una cosa ingiusta davanti a Dio e a Maria era prendermi la responsabilità di essere io il padre, e lasciare in segreto Maria. Scomparire da questa città. Abbandonarla. Così questo paese l’avrebbe compatita e custodita come donna abbandonata e lei avrebbe potuto crescere questo suo figlio e prepararlo alla missione che Dio gli aveva affidato. E io dove sarei andato? In Egitto. Lontano. Dove nessuno mi conosceva. Dove un uomo di nome Giuseppe che veniva da queste terre e che sapeva lavorare avrebbe avuto comunque una buona accoglienza.
La decisione presa mi diede un minimo di pace e mi rasserenò un po’, mi aiutò ad addormentarmi. Mi confortava riportare alla memoria le parole del salmo:
La mia voce verso Dio: io grido aiuto!
La mia voce verso Dio, perché mi ascolti.
Nel giorno della mia angoscia io cerco il Signore, nella notte le mie mani sono tese e non si stancano; l’anima mia rifiuta di calmarsi.
Mi ricordo di Dio e gemo,
medito e viene meno il mio spirito.
Tu trattieni dal sonno i miei occhi,
sono turbato e incapace di parlare (Sal 77,1-5).
Pregavo e dormivo, dormivo e pregavo. Invocavo il Signore che mi desse luce e forza. Che mi desse un segno per farmi capire se quello che stavo per fare era la sua volontà.
Durante la notte mi arrivò la risposta del Signore, in sogno, attraverso l’angelo. Mi chiamò per nome: «Giuseppe». Ero proprio io il chiamato. Aggiunse «figlio di Davide». Non disse «figlio di Giacobbe», come nella mia genealogia. Ecco: ero dentro questa storia per la mia discendenza da Davide. Il bimbo che Maria custodiva in seno era il promesso a Davide. «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa». L’angelo, con le parole di Dio, guariva la mia paura di entrare in un terreno sacro. Anche Maria veniva chiamata per nome come si suole fare nei matrimoni. Giuseppe e Maria. Ed era definita «mia sposa».
Continuò l’angelo: « Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo». Era una conferma di ciò che avevo intuito. E che cosa vorrà lo Spirito Santo da me, da noi? « Ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù ». Ecco: lo Spirito Santo, Maria e io. Insieme. Ciascuno con un suo compito. Maria darà alla luce il bambino. Lei è e sarà sua madre. Io dovrò dargli il nome. Il che significa che gli sarò padre per la legge, per gli uomini, per la storia. Un nome che non dobbiamo scegliere con Maria, perché dice la sua missione che viene da Dio: Yeshua, che vuol dire Dio salva. « Egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Quella notte risuonarono in me in modo del tutto nuovo le parole di Isaia: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele». Nessuno aveva mai saputo spiegarle, scritte secoli prima, e incomprensibili. Quella profezia si stava compiendo in Maria, in quei giorni, e io ne ero partecipe. Non più solo spettatore ma protagonista.
Nello svegliarmi, al mattino, ero singolarmente fresco, pronto. Non mi mancò un ultimo dubbio: sarà stato solo un sogno? No, non poteva essere: mi ricordavo ogni parola e non si cancellava dalla mia mente. La certezza del cuore era un’altra prova. Essermi addormentato con un’idea del tutto diversa era un’ulteriore conferma. Non era la soluzione che io cercavo, ma, avendola ricevuta in regalo, mi convinceva. Sarei andato contro la mia indole, perché Dio me lo chie- deva: avrei vissuto da padre di quel bimbo, tutti avreb- bero pensato che fosse mio, da coniuge di Maria, tutti avrebbero ritenuto che vivessi con lei come ogni sposo. Di quel bambino sarei stato custode, padre adottivo.
Ripassai il salmo con cui mi ero addormentato:
Tu sei il Dio che opera meraviglie,
manifesti la tua forza tra i popoli.
Hai riscattato il tuo popolo con il tuo braccio,
i figli di Giacobbe e di Giuseppe (Sal 77,15-16).
A queste ultime parole ebbi un tenero sussulto, e un sorriso finalmente commosso mi sciolse il viso.”
* Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore, pp. 54-61
Grazie, caro Don Andrea