Omelia di don Matteo Fabbri, 7 dicembre 2012, Novena per l’Immacolata, Duomo di Milano
“In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità”[1].
Parole dell’inno paolino che si compiono perfettamente nella fanciulla di Nazaret, l’Immacolata, colei che è stata fin dal seno materno preservata dal peccato originale. Colei in cui la grazia di Dio non ha trovato alcun ostacolo. Colei che, pur essendo piena di grazia, riempita della grazia di Dio fin dal primo istante, ha continuato a crescere nella fede. Colei che, Figlia, Madre e Sposa di Dio ha un ruolo assolutamente unico nella storia della Salvezza. Colei che ha cooperato nel massimo modo possibile con la grazia di Dio.
Allo stesso tempo Ella, come vedevamo il primo giorno della nostra Novena, è Madre. Madre di Dio e Madre di ciascuno di noi, e Madre della Chiesa. Non la vediamo quindi lontana. Ci ha accompagnato lungo il nostro cammino in questi giorni, incoraggiandoci con il suo sorriso e il suo esempio, accompagnandoci con la Sua intercessione. Abbiamo contemplato la sua figura di donna di fede,
fede che ha conosciuto momenti duri e difficili; abbiamo seguito il suo esempio nella risposta alla vocazione che sta all’inizio del cammino di fede di ciascuno di noi; abbiamo considerato il suo esempio nelle difficoltà anche per noi immancabili; l’abbiamo invocata come maestra di orazione, passo concreto di vita vissuta nella fede; abbiamo chiesto il suo aiuto perché la nostra fede, come la sua, sia vissuta nella vita di tutti i giorni e sia guida anche nei rapporti affettivi e l’abbiamo contemplata corredentrice ai piedi della Croce, sostegno e appoggio dell’apostolato, che è lo sbocco naturale di una fede vissuta. Oggi volgiamo a Lei il nostro sguardo e torniamo a ricevere la sua luce.
Il grande Patrono Ambrogio è il primo a istituire un parallelo che è molto più di una similitudine: Maria è “tipo” della Chiesa.
A commento del passo del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, scrive l’illustre Pastore: “È significativo che essa sia stata sposata, ma vergine, perché essa raffigura la Chiesa che è senza macchia, ma è sposa: essendo vergine ci ha concepito dallo Spirito, e, vergine, ci partorisce senza dolore”[2].
Secoli dopo Isacco della Stella, discepolo di san Bernardo, affermerà che tutto ciò che è detto nella Scrittura della Madonna si applica alla Chiesa e viceversa[3].
Queste non sono semplici immagini, belle raffigurazioni devote. Sono elementi centrali della nostra fede. Ne traiamo oggi due conclusioni: la natura ecclesiale della fede nell’ambito della mediazione materna, e la santità della Chiesa.
La Madonna come “tipo” della Chiesa, ci aiuta a comprendere, in quest’Anno della fede, quanto il nostro Arcivescovo, insieme alla grande tradizione della Chiesa, ci ripete: “Nessuno può credere da solo, come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno si è data l’esistenza. (…) Siamo generati alla fede dallo Spirito in quel grembo che è la comunità cristiana”[4].
Ma questa dimensione ecclesiale della fede non è semplice dimensione di “gruppo”. Non è un “noi” posticcio, successivo, per alzata di mano. Non è risultato delle consultazioni popolari e neppure della creazione dei consigli pastorali. Tutto ciò è evidentemente importante, ma non è il centro del problema. Non è con un vago assemblearismo, molto apprezzato da alcuni e guardato con sospetto da altri, che la Chiesa vive del suo mistero. Il “noi della fede” significa, ben più in profondità, la assicurazione della fede come dono di grazia. L’assemblea vota e decide, mentre la grazia si riceve e si accoglie con umiltà: è un dono dall’alto. E si accoglie attraverso la mediazione materna della Chiesa e, insieme e inseparabilmente, della Madonna.
Scriveva Benedetto XVI (allora Cardinale) a commento della enciclica Mariana Redemptoris Materdi Giovanni Paolo II: “La specificità della mediazione di Maria sta nel fatto che essa è una mediazione materna, ordinata alla continua nascita di Cristo nel mondo”[5]. Ma questo significa, per noi, che anche la mediazione della Chiesa nel sorgere della nostra fede è una mediazione materna. E senza madre… non si nasce! Non ci può essere fede senza Chiesa! Altrimenti la fede non è più fede. Sembra la “mia” fede, ma diverrà presto ciò che è fin dall’inizio: un aborto, un mero sentimento interiore di apertura all’Assoluto, ma non fede. È proprio la dimensione materna della mediazione mariana ed ecclesiale che assicura la Chiesa stessa e i singoli credenti sul fatto che la propria fede è un dono. Lo diciamo anche nel vivere comune, pensando alla nostra esistenze umana: la Mamma è una sola. È evidente: io esisto perché qualcuno mi ha generato e mi ha dato alla luce. Lo stesso nella vita della fede (lo vedevamo il primo giorno della Novena) la Madonna ci ha generati alla fede e la Chiesa (Vergine e Madre) ci ha generato alla fede. L’espressione tanto diffusa “Credo in Dio, ma non nella Chiesa” vuol dire semplicemente… non credere nel Dio cristiano. Già il grande vescovo e martire Cipriano di Cartagine diceva, alla metà del terzo secolo: “non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per Madre”[6]. Aggiungiamo che è un’illusione amara pensare di poter esistere, di poter essere venuti al mondo della fede… da soli.
Perché questa illusione è particolarmente viva oggi? Certamente i motivi sono tanti. Ma mi piace sottolinearne uno che mette in luce l’allora Card. Ratzinger: siamo in una epoca di grande attivismo. “Perché nel nostro modo di pensare vale ancora solo il principio del maschio: fare, produrre, pianificare il mondo e semmai fabbricarlo di nuovo da sé, senza dover niente a nessuno, ma facendo affidamento solo sulle proprie risorse. Non a caso, credo, con la nostra mentalità maschilista abbiamo sempre più separato Cristo dalla madre, senza renderci conto che Maria, come sua madre, potrebbe significare qualcosa per la teologia e per la fede. Tutto il nostro modo di rapportarci alla Chiesa parte perciò da un modo errato di pensare. La consideriamo quasi come un prodotto tecnico…”[7]. Ma se è così, un prodotto tecnico vale l’altro. E perché mai una certa scelta potrebbe essere migliore della mia idea? Di conseguenza è difficile aprirsi alla fede, abbandonarsi all’accoglienza di un dono che ci precede.
Invece il principio mariano femminile e materno è quello dell’ascolto, dell’accoglienza, di quel “farsi terreno” di cui parlavamo qualche giorno fa. È questo che assicura il fatto che ciascuno di noi… si ricordi che la vita di fede è grazia.
Maria, la piena di grazia, è chiamata a dare il suo assenso, di cui Dio, paradossalmente, ma realmente, ha bisogno per i suoi progetti. Ma Ella è serva del Signore non in modo passivo… Continua il Papa, nello stesso libro appena citato: “Dio richiede il sì dell’uomo. Egli non ne dispone semplicemente con un atto del suo potere. Egli si è creato nell’uomo un interlocutore libero, e ora ha bisogno della libertà della creatura perché possa divenire realtà il suo regno, fondato non su un potere esteriore, ma sulla libertà”[8]. Dunque la necessaria dimensione dell’apertura al dono ricevuto, il riconoscersi parte di un “noi” più ampio, non esclude, ma al contrario esalta la nostra libertà, e la porta al suo compimento naturale che è l’amore.
Il secondo punto è la santità della Chiesa. Il parallelo Maria – Chiesa ci dice che “ciò che la Chiesa è e deve essere, lo viene a conoscere concretamente guardando a Maria. Essa è il suo specchio, la misura perfetta del suo essere, perché essa è totalmente su misura di Cristo e di Dio, da Lui totalmente abitata”[9]. Ma allora diciamo anche oggi con forza, in questa festa: la Chiesa è santa!, Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Dice il Catechismo: “Noi crediamo che la Chiesa (…) è indefettibilmente santa. (…) La Chiesa, unita a Cristo, da lui è santificata, per mezzo di lui diventa anche santificante”[10]. Allo stesso tempo, dobbiamo riconoscere con chiarezza il nostro peccato. “La Chiesa già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta. Nei suoi membri la santità perfetta deve ancora essere raggiunta. (…). Mentre Cristo, santo, innocente, immacolato, non conobbe il peccato, ma venne allo scopo di espiare i soli peccati del popolo, la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento”[11]. La Chiesa è santa in quanto tale, ma è fatta di peccatori. Questo sarebbe un vuoto gioco di parole, se non ci fosse la festa di domani. Lapidariamente il Catechismo lo annota: “Mentre la Chiesa ha già raggiunto nella beatissima Vergine la perfezione che la rende senza macchia e senza ruga, i fedeli si sforzano ancora di crescere nella santità debellando il peccato; e per questo innalzano gli occhi a Maria: in lei la Chiesa è già la tutta santa”[12].
Il nostro atteggiamento sia quindi quello di amare la Chiesa appassionatamente, e difendere la Chiesa. Il male va estirpato, innanzi tutto dal nostro cuore. E quando vi sono episodi in cui il male è in maniera evidente compiuto da ministri, dobbiamo saper riparare, e sostenere i Pastori nel loro difficile ma necessario compito di estirpare il male per il bene del popolo e della Chiesa intera. Preghiamo ogni giorno per il Papa, per il nostro Arcivescovo, per tutti i Vescovi e i sacerdoti del mondo intero. I problemi reali che ci sono non si risolvono con la mormorazione o con la critica, ma con la santità personale e la preghiera. E se notiamo segni di crisi nella Chiesa (come sbandamenti di qualcuno, errori, difetti), rispondiamo con la preghiera e con la speranza.
Nel 1971 san Josemaría, Fondatore dell’Opus Dei, stava trascorrendo qualche settimana d’estate a Caglio, nel triangolo lariano, nel territorio della nostra Arcidiocesi. Di tanto in tanto da Milano lo andavano a trovare per portargli notizie e comunicazioni, e per ascoltare i suoi consigli. In una di queste occasioni coloro che si stavano recando in visita da lui, vennero sorpresi da un temporale estivo, improvviso. Arrivati a destinazione il Fondatore dell’Opus Dei era vistosamente mortificato dal fatto che avessero dovuto viaggiare con la pioggia che in quel momento durava ancora intensa. Entrati in casa si misero a prendere un tè. Dopo qualche tempo, dato che la finestra del soggiorno dove stavano dava a ovest, improvvisamente il sole, che calava all’orizzonte, raggiunto un tratto di cielo senza nubi, illuminò improvvisamente la stanza dove stavano. San Josemaría esclamò: “Che bello, il sole!”. E mentre chi lo ascoltava stava considerando ammirato il commento sulla bellezza di un fenomeno naturale, il santo aggiunse: “Così sarà nella Chiesa: improvvisamente, dopo questo momento di buio, tornerà a brillare il sole”.
Anche se ci sembra che le tenebre avvolgano la vita nostra e quella della Chiesa, non cediamo mai alla tentazione di permettere che vacilli la nostra fede. Il sole tornerà a brillare e brilla già sopra le nubi, per quanto dense possano apparire. La Chiesa è già santa. E questa santità è reale grazie a Maria Santissima. Ella è l’Immacolata, la tota pulchra, Colei che davvero, nonostante tutte le nostre brutture, rende bella la Chiesa.
Mater Ecclesiae, Tota Pulchra, ora pro nobis.
Amen.
[1]Ef 1, 4 (II Lettura).
[2]Commento al Vangelo di san Luca, II, 7.
[3]Cfr. Isacco della Stella, Sermo 51 in Assumptione Beatae Mariae Virginis (PL 15, 1565).
[4]Alla scoperta del Dio vicino, n. 7. Idee simili in Benedetto XVI, Porta fidei, n. 10.
[5]J, Ratzinger, Maria Chiesa nascente, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, p. 46.
[6]De Ecclesiae catholicae unitate, n. 6.
[7]J. Ratzinger, op. cit., p. 7 – 8.
[8]Ivi, p. 76.
[9]Ivi, p. 55.
[10]Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 823 – 824.
[11]Ivi, nn. 825, 827.
[12]Ivi, n. 829.