Commento al vangelo dell’Ascensione (anno B)
Nella solennità dell’Ascensione nella prima lettura si legge sempre – negli anni A, B e C – il racconto dell’Ascensione che Luca riporta nel libro degli Atti. Il Vangelo poi è rispettivamente quello di Matteo, Marco e Luca. Quest’anno leggiamo Marco. Nel mio commento mi soffermo prima sul racconto degli Atti e poi su quello di Marco.
Mc 16, 15-20
In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Il racconto dell’Ascensione degli Atti comincia con una scena familiare: Gesù è a tavola con gli apostoli.
L’autore è Luca che nel suo vangelo collega sempre le apparizioni di Gesù risorto alla tavola. I due discepoli di Emmaus lo riconoscono a tavola mentre spezza il pane. Più tardi, a sera inoltrata, quando Gesù appare nel cenacolo, per i discepoli increduli la prova decisiva, più ancora delle mani e dei piedi da guardare e toccare, è la porzione di pesce arrosto che mangia davanti a loro.
E qui di nuovo prima dell’Ascensione è a tavola con i discepoli, segno di comunione e di normalità familiare.
Dà loro indicazioni precise. Dice di rimanere lì a Gerusalemme a ricevere il battesimo dall’alto.
Loro provano a essere opportuni, ad azzeccare un intervento adatto alla circostanza, ma non ci riescono: gli chiedono se è quello il tempo in cui lui ricostituirà il regno d’Israele, senza accorgersi che è una prospettiva che non è mai stata presente nei tre anni trascorsi e tanto meno lo è adesso. Sono proprio fuori tempo e fuori tema.
Nonostante tre anni di sequela ravvicinata del Maestro e di tanti suoi discorsi ascoltati e suoi gesti visti
Gesù pazientemente glissa e si affida allo Spirito Santo che li illuminerà, ma li orienta: quello che dovete fare è essermi testimoni da Gerusalemme fino alla fine della terra.
Essere testimoni e basta. Non fa nessuna promessa di successi apostolici per la loro testimonianza. Essere testimoni sembra poco ma è molto. Il testimone rischia la vita.
Sarà lui poi che darà l’incremento, misterioso quanto alla misura e al tempo di crescita dei frutti, alla loro testimonianza. Quando scompare salendo al cielo, loro rimangono a guardare: gli angeli, pur esperti del cielo, non fanno gli spirituali ma dicono loro che devono stare nelle cose della terra, dedicarsi alla testimonianza e a innervare il mondo nel messaggio di Cristo. Non fermatevi a guardare il cielo!
Tornano a Gerusalemme per essere rafforzati dallo Spirito Santo.
Predicava san Giovanni Paolo II in una Messa dell’Ascensione nella quale conferiva l’ordinazione sacerdotale a settanta diaconi in san Pietro a Roma: “Oggi, nel corso della liturgia delle ordinazioni sacerdotali, preghiamo specialmente affinché scenda lo Spirito Santo. Cantiamo “Veni Creator Spiritus” e ci apriamo con tutto il cuore ai suoi doni. Nella potenza dello Spirito Santo dovete ricevere e accogliere il sacramento del sacerdozio. Egli è creatore di questo sacerdozio in ciascuno di voi: “Creator Spiritus”. La sua discesa è indispensabile. Dato che dovete diventare testimoni, indispensabile è la sua discesa, indispensabile è l’intervento interiore della sua potenza. Voi non avete udito con i vostri orecchi le parole di Gesù di Nazaret. Non lo avete seguito sulle strade di Galilea e di Giudea. Non lo avete visto risorto dopo la crocifissione. Non lo avete visto salire al cielo. Eppure… Dovete essere testimoni di Cristo crocifisso e risorto, testimoni di colui che “siede alla destra del Padre […]”.
Con la forza dello Spirito Santo ciascun battezzato nella Chiesa, laico o sacerdote, può compiere il mandato apostolico universale: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura”, proprio a tutte le creature.
Le promesse nelle parole di Gesù per coloro che credono, sono piene di ottimismo e di forza: “Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno”.
Non avremo forse lungo i secoli diminuito la portata di queste parole?
In questo caso, nel Vangelo di Marco, a differenza del racconto degli Atti, Gesù fa delle promesse di efficacia della testimonianza degli apostoli, ma queste promesse vanno nella linea della guarigione spirituale (scacceranno demoni) o fisica (guariranno i malati), e nella direzione della loro protezione (serpenti e veleni non recheranno danno) e della capacità di entrare in sintonia con persone diverse (parleranno lingue nuove), non c’erto nella prospettiva di conquistare potere umano di comando o denaro.
Queste promesse si riferiscono anche al più piccolo nel regno dei cieli che è più grande di Giovanni Battista, secondo le stesse parole di Gesù.
Invochiamo lo Spirito Santo che ci aiuti a renderci conto, ascoltando le parole di Gesù, dell’immensa dignità e grandezza della nostra vocazione cristiana, che è sempre anche apostolica.