Commento al Vangelo della XXIX domenica
Dopo aver ascoltato le parabole di Gesù rivolte ai farisei, questi tengono consiglio e cercano di tendergli una trappola.
Ne nasce un insegnamento che ha avuto enormi conseguenze nella vita del mondo occidentale, quello che è stato più a contatto con il messaggio del Vangelo in questi primi duemila anni dopo Cristo.
Ecco il brano del Vangelo che si legge il 18 ottobre, nella XXIX domenica del tempo ordinario dell’anno A.
Mt 22, 15-21
(Allora) In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi.
Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiàni, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, dì a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare».
Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
Il celebre dialogo sulla liceità del tributo a Cesare, inizia così: “Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù”.
Nella lettura liturgica “allora” viene sostituito dall’introduzione generica: “in quel tempo”.
Ma “allora” collega temporalmente l’episodio a ciò che lo precede nel racconto evangelico e significa: dopo aver ascoltato le tre parabole di Gesù sul regno dei cieli nelle quali si sono sentiti esplicitamente accusati, “allora” fanno una riunione per far fuori colui che ritengono l’avversario, perché ha detto la verità su di loro.
Nella loro macchinazione sono astuti, inventano una domanda per la quale ogni risposta può essere usata contro di lui: “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”.
Se dice di sì, attira su di sé l’odio di tutti quelli che sono contro Roma, se dice di no può essere accusato davanti al governatore romano.
Infatti tutta l’assemblea del sinedrio lo calunnierà così davanti a Pilato: “Abbiamo trovato costui che impediva di dare tributi a Cesare” (Lc 23,2).
Avevano in mente l’argomento con cui avrebbero voluto intrappolarlo, e anche se Gesù aveva risposto alla loro domanda in modo da non dare adito ad alcuna accusa, lo accusano lo stesso.
Quando si vuole eliminare una persona, il tradimento e la menzogna sono le armi più a portata di mano.
Ma torniamo alla loro domanda capziosa: “È lecito o no pagare il tributo a Cesare?”.
Per avvicinarsi a Gesù e fargli questa domanda si sono uniti farisei ed erodiani: vale a dire i contrari e i favorevoli alla dominazione romana.
Quindi qualunque risposta Gesù avesse dato ci sarebbe stata una fazione come testimone, disposta a denunciarlo.
Inoltre la moneta del tributo secondo loro era contro il primo comandamento poiché ritraeva l’immagine dell’imperatore: “Io sono il Signore, tuo Dio…non avrai altri dei di fronte a me… Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo né di quanto è quaggiù sulla terra…”. Gesù dunque poteva essere anche accusato di idolatria.
Per introdurre la domanda cominciano con un’adulazione: “Sei veritiero, insegni la via di Dio, non guardi in faccia a nessuno…”.
Gesù li chiama “ipocriti” perché dicono il vero ma con un’intenzione falsa e malvagia.
Nella sua sapienza infinita però volge al bene quella malvagità e dà un insegnamento che è alla base di ogni autonomia della dimensione religiosa dal potere politico.
“Mostratemi la moneta del tributo”. Chiede a loro di chi è l’immagine e l’iscrizione: di Cesare, dicono.
C’era su quella moneta infatti il volto di Tiberio Cesare, e l’iscrizione “Divo Cesare”: al Divino Cesare.
Con la risposta «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio», Gesù separa le due parole dell’iscrizione: Cesare è Cesare e non è Dio, Dio è Dio e non è Cesare.
Dicendo “rendete a Cesare” invece di “pagate a Cesare” inserisce, nel dovere di pagare le tasse giuste, l’idea suggestiva della restituzione.
Si restituisce alla autorità pubblica, con il tributo, ciò che ha speso per tutti i beni comuni che ha messo e metterà a disposizione della società che governa.
E a Dio? Restituitegli ciò che è suo significa: restituitegli tutta la creazione, che è sua, e l’uomo, che Dio ha creato a sua immagine e somiglianza.
L’argento è di Cesare, ma quel volto d’uomo che c’è sulla moneta non è Dio, ma è di Dio.
Restituitelo a Dio: si è appropriato indebitamente del titolo divino.
Restituitelo come sua creatura, che gli renda lode.
Non c’è contrapposizione tra Dio e Cesare, ma piuttosto distinzione.
Apparteniamo alla società umana, ma prima di tutto apparteniamo a Dio che ci ha creato ad immagine di Cristo e in lui ci ha redento.
Abitiamo il mondo da figli sapendo che è stato creato da Lui.
“Il cristiano è chiamato a impegnarsi concretamente nelle realtà terrene, ma illuminandole con la luce che viene da Dio. L’affidamento prioritario a Dio e la speranza in Lui non comportano una fuga dalla realtà, ma anzi un rendere operosamente a Dio quello che gli appartiene. È per questo che il credente guarda alla realtà futura, quella di Dio, per vivere la vita terrena in pienezza, e rispondere con coraggio alle sue sfide” (Papa Francesco, Angelus, 22 ottobre 2017).
Grazie per questo commento e soprattutto per questa frase:
“Abitiamo il mondo da figli sapendo che è stato creato da Lui.”
Già , per vivere così ogni giorno come un’opportunità di restituire a Lui e al Creato ciò che riconosco di aver ricevuto.
Grazie per il riscontro e per il risvolto di vissuto che porta con sé