Commento al Vangelo della XXIII domenica del tempo ordinario
Il Vangelo che si legge domenica 6 settembre, domenica XXIII dell’anno A, è il suggestivo e arduo passo sul come gestire le colpe del fratello nella comunità ecclesiale, da meditare spesso per cercare di viverlo.
Mt 18, 15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Le indicazioni di Gesù su come aiutare il fratello che “commetterà una colpa contro di te” sono incastonate tra la parabola della pecorella smarrita tra cento da andare a ritrovare e il perdono da accordare al fratello settanta volte sette.
È un atto di carità fraterna, forse il più elevato e difficile.
Rispetto alle indicazioni della legge mosaica (Dt 19,15) c’è una grande novità.
Là il peccatore era giudicato solo pubblicamente e un testimone non valeva nulla, ce ne volevano due o tre. Qui il procedimento è innanzitutto personale.
La carità è personale.
Il fratello è tuo.
La priorità viene data al dialogo fatto “fra te e lui solo”.
Gesù ha molta fiducia che l’amore fraterno, e la fatica di andare a correggere il fratello, per il desiderio di guadagnarlo al bene, possa avere grande efficacia.
Va tenuta presente l’ammonizione previa di Gesù (Mt 7, 3-5) a togliere prima la trave nel proprio occhio per poi vedere bene e togliere la pagliuzza nell’occhio del fratello.
Qui Gesù incoraggia te che sai che tuo fratello ha commesso una colpa, soprattutto se è “verso di te”, ad andare da lui: va’, alzati, esci dalla tua comodità, dal tuo timore di rattristare, di perdere la sua amicizia. Avvicinati. Fai tu il primo passo.
“Fra te e lui solo” non è solo per la buona educazione di non correggerlo in pubblico, è anche finezza che custodisce la sua buona fama, evita la mormorazione, impedisce il fenomeno che si dà in ambienti di lavoro e in ambienti ecclesiali, del comunicarsi le colpe o i difetti del fratello con altri fratelli, ma senza parlarne con l’interessato.
Per la falsa carità di non fargli passare un brutto momento, si impedisce al fratello di affrontarsi e di migliorare.
Se ti “ascolta”, lo “guadagni” alla comunione. Se non ti ascolta “prendi con te” uno o due fratelli
Il discorso è sempre al tu: la responsabilità personale di chi ha esperienza della colpa del fratello non viene mai meno.
Non è pensabile che tu ti nasconda e mandi avanti gli altri, o che tu faccia delazioni.
“Perché ogni cosa sia risolta” sulla base di due o tre testimoni: se il fratello che ha sbagliato non è d’accordo, se ha una sua versione dei fatti. Allora insieme ad altri si sistema “ogni cosa”.
Se invece il problema persiste interviene la comunità. Se non ascolta neanche la comunità diventa per te (continua la dimensione personale) come il pagano o il pubblicano.
Ma il pagano è colui a cui la comunità si rivolge per fargli conoscere il vangelo.
E con il pubblicano Gesù mangia e, nel caso di Matteo, lo chiama a seguirlo come apostolo.
Non è un invito a chiudere i rapporti.
È la constatazione di una frattura nella comunione della chiesa, che si desidera sempre ricomporre.