Oggi vi parlo di un racconto che ha forse quasi venti secoli di storia: la storia d’amore tra Giuseppe d’Egitto e sua moglie Aseneth.
Se lo avessi letto prima lo avrei citato nella bibliografia di riferimento di Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore, semplicemente come riferimento letterario.
Questo testo si sofferma sulla conoscenza e matrimonio dei due e su una difficoltà esterna grossa che dovettero affrontare nei primi anni, mentre nel mio racconto, più lungo, la storia d’amore di Giuseppe e di Maria si sviluppa e cresce durante tutta la loro vita e anche dopo.
Anonimo
Storia del bellissimo Giuseppe e della sua sposa Aseneth
Sellerio Editore
Palermo 1983, pp. 89
Lingua originale: greco antico – Traduzione di Marina Cavalli – Nota di Dario Del Corno
Titolo originale: Πράξεις του̃ παγκάλου ‘Ιωσήφ καί τής γυναικòς αυ̉του̃ Ασενὲθ θυγατρòς Πεντεφρη̃ ‘ιρέως ‛Ηλιoυπόλεως
“Una delle più poetiche storie, imperniate sulla figura di Giuseppe, proliferate dalla tradizione biblica”.
Quando scrivevo il libro Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore non ho consultato altri tentativi letterari di ricostruzione della storia di Giuseppe e di Maria, perché preferivo che il mio narrare fluisse a partire dalla ricerca sul testo biblico, dai commenti relativi e dall’esperienza personale della vita di molte persone, nonché dalla mia visione della vita della famiglia di Nazaret.
Infatti non volli rileggere L’ombra del Padre,il romanzo su Giuseppe di Dobraczynski che avevo letto in gioventù, né Giuseppe e i suoi fratelli, romanzo in due volumi, pubblicato nei Meridiani Mondadori, al quale Thomas Mann dedicò sedici anni della sua vita, attorno alla storia biblica di Giuseppe figlio di Giacobbe, venduto dai suoi fratelli e ritrovato in Egitto.
Mi confortava però tenere presenti gli esperimenti letterari a partire dalla Sacra Scrittura come precedenti a cui genericamente mi ispiravo.
Fra questi mi fu citato da un amico, sacerdote e biblista, don Umberto De Martino, l’apocrifo dell’Antico Testamento che ricostruisce la storia d’amore di Giuseppe e di Aseneth, ricevuta in moglie dal Faraone dopo che Giuseppe gli aveva rivelato il senso dei suoi sogni e predetto la carestia e dato i suoi consigli su come fare per prevenirne i danni.
Aseneth è citata in Genesi 41, 43, poi anche in Gen 41,50 dove si dice che generò a Giuseppe due figli, Manasse ed Efraim.
Rileggiamo quella parte della bellissima storia di Giuseppe (Gen 41,39-52):
E il faraone disse a Giuseppe: «Dal momento che Dio ti ha manifestato tutto questo, non c’è nessuno intelligente e saggio come te. Tu stesso sarai il mio governatore e ai tuoi ordini si schiererà tutto il mio popolo: solo per il trono io sarò più grande di te».
Il faraone disse a Giuseppe: «Ecco, io ti metto a capo di tutta la terra d’Egitto». Il faraone si tolse di mano l’anello e lo pose sulla mano di Giuseppe; lo rivestì di abiti di lino finissimo e gli pose al collo un monile d’oro. Lo fece salire sul suo secondo carro e davanti a lui si gridava: «Abrech». E così lo si stabilì su tutta la terra d’Egitto.
Poi il faraone disse a Giuseppe: «Io sono il faraone, ma senza il tuo permesso nessuno potrà alzare la mano o il piede in tutta la terra d’Egitto». E il faraone chiamò Giuseppe Safnat-Panèach e gli diede in moglie Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di Eliòpoli.
Giuseppe partì per visitare l’Egitto. Giuseppe aveva trent’anni quando entrò al servizio del faraone, re d’Egitto. Quindi Giuseppe si allontanò dal faraone e percorse tutta la terra d’Egitto. Durante i sette anni di abbondanza la terra produsse a profusione. Egli raccolse tutti i viveri dei sette anni di abbondanza che vennero nella terra d’Egitto, e ripose i viveri nelle città: in ogni città i viveri della campagna circostante. Giuseppe ammassò il grano come la sabbia del mare, in grandissima quantità, così che non se ne fece più il computo, perché era incalcolabile.
Intanto, prima che venisse l’anno della carestia, nacquero a Giuseppe due figli, partoriti a lui da Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di Eliòpoli.
Giuseppe chiamò il primogenito Manasse, «perché – disse – Dio mi ha fatto dimenticare ogni affanno e tutta la casa di mio padre». E il secondo lo chiamò Èfraim, «perché – disse – Dio mi ha reso fecondo nella terra della mia afflizione.
Per gli ebrei costituiva un problema il fatto che Giuseppe avesse sposato la figlia di un sacerdote pagano.
Alcuni pensavano che per questo motivo il suo popolo aveva dovuto poi scontare la prigionia in Egitto.
Per risolvere il problema alcuni rabbini inventarono l’ipotesi che Aseneth fosse in realtà la figlia illegittima di Dina, generata dalla violenza di Sichem.
L’autore anonimo di questo delizioso racconto d’amore invece si immagina che Asenet si converta per amore di Giuseppe al Dio del popolo ebreo.
Le note della traduttrice e del curatore ci introducono alle conclusioni degli studi, perlomeno fino al 1983, anno dell’edizione della traduzione italiana pubblicata da Sellerio.
Ci dicono dei 16 manoscritti che trasmettono questo breve romanzo e le ipotesi sul luogo della sua redazione, forse la comunità ebraica di Alessandria, lo sesso ambiente culturale che produsse la traduzione dei Settanta dell’antico testamento al greco.
La prima notizia è del VI secolo, da una lettera anonima indirizzata al traduttore siriaco del racconto, ma la traduttrice Marina Cavalli dice che bisogna risalire per la sua origine molto più indietro, forse addirittura al primo secolo d.C.
Nella nota di Dario del Corno si accenna a possibili influenze cristiane in questo scritto, del quale mette in evidenza le corrispondenze con la cultura greca del tempo ed egiziana.
Nel leggere questa preziosa storia d’amore con l’ottica del nuovo testamento ho avuto la netta sensazione che i riferimenti cristiani siano ancor più numerosi e più probabili.
Il biblista Marco Valerio Fabbri, che ha studiato questo testo anni fa soprattutto per la presenza del vocabolo “incorruttibilità”, mi conferma, a voce, questa intuizione.
Forse l’autore volle creare una storia che risolvesse il problema ebraico della contaminazione di Giuseppe con una idolatra, me al contempo offrisse un “precendente” veterotestamentario alla vicenda di Giuseppe e di Maria e a vari aspetti del messaggio di Gesù.
Per dare solo qualche esempio: ascoltate come il padre Pentefres presenta Aseneth a Giuseppe: “Saluta tuo fratello, poiché anche lui è vergine come oggi tu sei” e come Giuseppe benedice Aseneth: “Per un uomo pio che, che con la sua bocca benedice il Dio vivente e mangia il pane benedetto della vita e beve il calice benedetto dell’immortalità e si unge dell’unguento benedetto dell’incorrutibilità, non è bene baciare una donna straniera”.
Il lettore può intuire i possibili riferimenti nascosti all’Eucaristia e all’olio del battesimo e della cresima.
Il riferimento a pane, calice e olio benedetto ritorna in altri passi del testo, come pure si parla più avanti di un favo di miele bianco che nutre e ha riflessi di sangue.
Aseneth si rattrista per quelle parole e allora Giuseppe la benedice con queste altre: “Signore, Dio di mio padre Israele, Altissimo, Onnipotente, tu che hai creato l’universo, che chiami dalle tenebre alla luce, dall’errore alla verità, e dalla morte alla vita, a questa vergine, o Signore, dona tu stesso vita e benedizione. E rinnovala con il tuo spirito, plasmala di nuovo con la tua mano, e falla rivivere della tua vita: che mangi il pane della tua vita, e beva il calice della tua benedizione. Tu l’hai eletta ancor prima della tua nascita: fa ch’essa entri nel riposo che hai preparato per i tuoi eletti”.
Aseneth, poiché all’inizio aveva rifiutato la proposta di suo padre di andare in sposa a Giuseppe, pentita, dopo averne visto la bellezza “come di un figlio di Dio”, fa sette giorni di digiuno e poi una lunga preghiera a Dio, nella quale alla fine affida Giuseppe: “A te mio Signore lo affido, poiché io lo amo più della mia vita. Proteggilo nella sapienza della tua grazia, e mettimi vicino a lui come tua ancella – e io gli laverò i piedi e lo servirò e sarò sua schiava per tutto il tempo della mia vita”.
Ciò che nella storia d’amore di Giuseppe e Maria, accade a Giuseppe, che sente l’indegnità rispetto al matrimonio con Maria, quando conosce l’origine divina della sua maternità, qualcosa di analogo capita ad Aseneth, nei confronti di Giuseppe figlio di Giacobbe.
Dopo la sua confessione a Dio, Aseneth gioisce al vedere che appare in cielo la stella del mattino, che per lei significa una risposta di Dio, “perché questo astro è messaggero e araldo della luce del grande giorno”.
Si può cogliere la risonanza mariana di questo simbolo, Maria è “stella del mattino” nella pietà popolare perché porta al mondo la luce di Cristo.
Le risonanze mariane del capitolo XIV e XV e non solo, continuano, a mio avviso, con l’arrivo dal cielo del messaggero di Dio per Aseneth.
Costui entra nella sua stanza, la chiama per nome, e lei risponde: “Eccomi, signore, dimmi , chi sei tu?” “Io sono il capo della dimora del Signore, e il comandante supremo di tutto l’esercito dell’Altissimo”.
Aseneth si impaurisce e si getta a terra. “L’uomo le disse: “Fatti animo Aseneth, non aver paura: alzati in piedi e io ti parlerò”. Poi promette che andrà da Giuseppe e gli parlerà: “Fatti animo Aseneth: vedi, il Signore ti ha data a Giuseppe come sposa e lui sarà il tuo sposo”.
Ecco il capitolo XIX: “Venne uno schiavetto e disse ad Aseneth: “Ecco Giuseppe è alle porte della nostra corte”. Allora Aseneth, insieme alle sette vergini, scese incontro a lui. Quando Giuseppe la vide così le parlò: “Vieni qui da me, vergine santa, poiché dal cielo ho ricevuto un buon annunzio su di te: tutto quanto ti è successo mi è stato rivelato” Giuseppe stese le sue mani e abbracciò Aseneth, e Aseneth abbracciò Giuseppe, e si strinsero a lungo, e si riaccesero di vita col loro respiro.”
Dal capitolo XX: “ E Aseneth disse a lui: “Vieni, signore, entra nella mia casa”. Prese la sua mano destra e lo condusse nella sua casa. E Giuseppe sedette sul seggio di Pentefres, il padre di Aseneth, ed essa portò dell’acqua per lavargli i piedi. Giuseppe le disse: “Venga piuttosto una delle fanciulle e lavi i miei piedi”. Ma Aseneth gli rispose: “No, signore, poiché le mie mani sono le tue mani e i tuoi piedi sono i miei piedi e nessun’altra laverà i tuoi piedi”. Allora Giuseppe prese la sua mano destra e la baciò, e Aseneth baciò la testa di lui”.
Il giorno dopo Giuseppe andò da Faraone e gli presentò Aseneth.
Lui fu stupefatto della bellezza di Aseneth. Assicura a lei la benedizione del Dio di Giuseppe. E celebrarono le nozze e festeggiarono per sette giorni. Poi lei partorì Manasse e suo fratello Efraim nella casa di Giuseppe.
Non bastano queste brevi citazioni ad assicurare che ci sono fonti cristiane nell’autore del testo, ma potrebbe essere interessante studiare più approfonditamente la possibile origine cristiana, o forse più probabilmente giudeo-cristiana di questo scritto, anche solo per evidenziarla tra le varie fonti culturali di riferimento dell’autore: sono infatti varie le risonanze di aspetti presenti nel Nuovo Testamento.
Concludo solo evidenziando che le due frasi di Aseneth sul lavare i piedi a Giuseppe, arricchiscono l’interpretazione della lavanda dei piedi di Gesù ai suoi discepoli: é il gesto di un servo, di una serva, come accadeva allora, ma è anche il gesto d’amore di una sposa che non vuole che altri facciano questo gesto d’amore per lo sposo.
Ne parlava già Gianfranco Ravasi nel suo commento al Vangelo di Giovanni tenuto al centro san Fedele di Milano, poi pubblicato nella Bibbia del “Corriere della sera”.