Commento al Vangelo della Pentecoste, anno A
Nel Vangelo della messa di Pentecoste dell’anno A, la Chiesa ci propone la lettura della “prima Pentecoste”, il soffio dello Spirito Santo che Gesù manda ai suoi discepoli radunati nel Cenacolo, la sera dello stesso giorno in cui Lui è risorto e si presenta da loro.
Un versione leggermente ridotta di questo mio commento tradotta allo spagnolo è stata pubblicata dalla rivista Palabra nel numero del mese di maggio 2020, e la si ritrova anche nell’ambito di un articolo più ampio su Studi Cattolici del mese di maggio 2020.
Gv 20, 19-23
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!».
Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».
Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Gesù aveva promesso ai suoi varie volte l’invio dello Spirito Santo e la maggior parte delle volte era accaduto pochi giorni prima, in quello stesso luogo dove adesso i discepoli sono chiusi per paura.
Aveva promesso: pregherò il Padre e lui vi darà un altro Consolatore che rimanga con voi per sempre; lo Spirito della verità che procede dal Padre e darà testimonianza di me vi guiderà a tutta la verità, prenderà del mio e ve lo annuncerà.
Gesù è risorto e ha lasciato il sepolcro vuoto. Desidera fortemente che questa sua promessa sia mantenuta presto.
Ormai la vita ha vinto la morte, una nuova creazione è avvenuta. Perché aspettare?
Inoltre i suoi discepoli impauriti stanno chiusi in quel cenacolo per paura di fare la sua stessa fine. È il luogo dei ricordi più forti: la lavanda dei piedi, l’Eucaristia, il comandamento nuovo dell’amore, la promessa del Paraclito.
Ma adesso è diventato per loro il luogo dove le cose belle di pochi giorni prima si colorano di dolore per la tragedia del Calvario e di paura.
Gesù non vuole aspettare cinquanta giorni per donare loro il suo Spirito. Durante la festa di Pentecoste avverrà un invio ufficiale, solenne, con rumore di tuono e visibilità di fuoco su ciascuno.
Ma il giorno stesso della risurrezione, solo poche ore dopo aver preso di nuovo la vita con il suo stesso potere, Gesù vuole donare loro un anticipo di Spirito Santo, per poterli aiutare ad arrivare fino a Pentecoste.
Quindi grazie a Lui la domenica, che con Lui è già il giorno del Signore, diventa anche il giorno dello Spirito Santo Signore. Oggi Gesù lo donerà ai suoi.
Lascia loro solo qualche ora per riflettere su quello che hanno detto loro le donne al mattino, e che tornino i due da Emmaus e raccontino la loro esperienza dell’incontro col risorto.
Cosi li prepara un po’.
Verso sera, nell’ora dell’intimità, quando il calar del sole facilita il raccoglimento degli animi e delle famiglie, ecco, senza neanche la fatica di bussare, perché adesso la sua umanità è risorta e nuova, Gesù arriva nella casa dell’ultima cena e dona loro il suo Spirito, perché lo desidera tanto e non può più aspettare. Una prima dose.
Anche noi riceviamo lo Spirito in varie tappe: il battesimo, la cresima e poi ogni sacramento di Cristo, ogni preghiera. Anche Maria ricevette lo Spirito Santo in vari momenti: all’annuncio dell’angelo, nell’incontro con Elisabetta, poi ascoltando Zaccaria e Simeone profeta.
Insieme allo Spirito dona a loro e a noi la chiamata a essere mandati in tutto il mondo, come Lui fu inviato dal Padre, e la missione di perdonare. Tutti noi credenti riceviamo lo Spirito Santo dal soffio di Gesù, siamo chiamati a respirare con il suo respiro, e veniamo mandati da Lui nel mondo come Lui fu mandato dal Padre, tutti noi come un altro Cristo, come lo stesso Cristo, figli del Padre come Lui, tutti chiamati a perdonare, che è l’azione tipica dello Spirito, come lo è stata del Figlio e lo è del Padre: Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno.