Domenica di Pasqua (Gv 20, 1-9)
Cerco di rileggere il vangelo della domenica di Pasqua e il commento rispettivo, con gli occhi e la sensibilità del tempo che stiamo vivendo.
Gv 20, 1-9
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro:
«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!»
Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.
Giuseppe di Arimatea e Nicodemo avevano tolto dalla croce il corpo di Gesù, dopo averlo chiesto a Pilato e lo avevano unto, proprio lui, il Cristo, che significa l’unto, con cento libbre cioè trentatré chilogrammi, tantissimi, di profumi di mirra ed aloe.
Penso che al rileggere questo testo tutti coloro che hanno avuto familiari defunti per il covid-19 sentiranno una particolare commozione.
Contenti che Gesù abbia potuto avere vicini due personaggi come Giuseppe di Arimatea e Nicodemo e quindi, pur nello stato di condannato a morte, pur nella condizione di essere lontano dalla sua casa e di avere solo una madre vedova come parente vicino, abbia potuto avere una sepoltura, per quanto rapida, dignitosa e piena di attenzioni.
Offriranno di nuovo a Gesù sepolto e risorto il loro dolore di non aver potuto preparare la sepoltura dei propri cari, né accompagnarli come avrebbero voluto, con l’affetto, la preghiera e il pianto.
Offriranno anche a Gesù la loro speranza, che spesso è certezza, che chi lo ha fatto lo avrà fatto compiendo ciò che loro avrebbero voluto.
Un’opera di misericordia molto gradita a Dio e da lui ricompensata con molti doni, come fa con Tobia padre.
Il sepolcro era nel luogo dove Gesù era stato crocifisso, in un giardino che richiama il giardino dell’Eden. Secondo una tradizione in quel luogo fu sepolto Adamo.
Ricorda anche il giardino del Cantico dei Cantici.
Il sepolcro di Gesù sta nel luogo della creazione dell’uomo e della donna che è il luogo dell’amore.
Il sepolcro nuovo viene preparato da Giuseppe e da Nicodemo come un letto nuziale, la mirra e l’aloe sono anche profumi utilizzati nelle nozze.
Anche i morti per coronavirus, dovunque siano sepolti, sono sepolti nel cuore dei loro cari, nel luogo dell’amore.
Avvolti dalle preghiere e dalla pietà dei familiari e della Chiesa, dell’umanità che li ha curati e accompagnati.
Giovanni comincia il racconto della risurrezione di Gesù con l’indicazione del tempo: il primo giorno della settimana o primo giorno dopo il sabato.
Una sabbatorum dice anche Marco. Il plurale “sabati” in greco significa “settimana”. Letteralmente: “l’uno della settimana”.
L’uno è citazione del primo giorno della creazione, chiamato così in Genesi 1, 5, nel quale Dio creò la luce.
Siamo nel primo giorno della nuova creazione. Il giorno della luce di Cristo. Il giorno “uno” nel quale sono contenuti tutti i nostri giorni.
La luce di Cristo illumini tutte le nostre tenebre, incertezze, dolori.
Maria Maddalena non sa nulla di tutto ciò, ma il suo amore la muove ad andare verso il suo amore che è morto, che l’aveva liberata da sette demoni.
Vede solo la pietra ribaltata del sepolcro, capisce che è successo qualcosa di grosso ma lo legge in negativo, percepisce un’assenza rispetto alle sue aspettative e deduce che abbiano rubato il suo Signore.
Corre da Pietro, che è il primo per il primato che gli ha dato Gesù ma anche perché più di tutti gli altri ha fatto l’esperienza dell’amore di Cristo che copre la moltitudine dei peccati, e dall’altro discepolo, colui che Gesù amava, perché la aiutino a ritrovarlo.
L’amore fa correre Giovanni e lo sguardo dell’amore gli permette di buttare l’occhio e di vedere i lini distesi: non è lo scenario di un furto, è tutto ordinato.
Poi arriva Pietro che entra e contempla le lenzuola distese.
Ecco Giovanni: sente profumo quando entra e non odore di morte, profumo di mirra e aloe.
Il sudario che richiama la morte è piegato a parte.
Il sepolcro con le lenzuola stese sta a ricordaci che il nostro entrare nel sepolcro nell’ora della nostra morte sarà una chiamata nuziale verso l’amore di Dio.
E il discepolo che Gesù amava vide e credette.
È l’amore che apre la porta alla fede.
Come accadrà poco dopo a Maria Maddalena.
Nel racconto della resurrezione di Lazzaro il sepolcro è citato solo due volte, perché finirà presto il suo compito. Qui, tra sepoltura e resurrezione, undici volte.
Sepolcro è detto mnemeion in greco: significa il luogo della memoria.
E quel sepolcro è il luogo della memoria più importante della nostra fede: Cristo è risorto, la vita ha vinto la morte.
A Gerusalemme, nella chiesa del santo Sepolcro, c’è il Sepolcro vuoto, centro della nostra fede, ma c’è anche, nella stessa basilica il luogo della Croce. Lì vicino. Il luogo della morte e quello della risurrezione sono vicini.
È un aiuto, un incoraggiamento della Provvidenza di Dio, perché contempliamo insieme la morte e la risurrezione di Cristo, e ogni vicenda della nostra vita che ce li ricordano.
Tenebre e luce.
Dolore e consolazione.
Morte e Vita.
In particolare la morte dei nostri cari.
Come diciamo con il Simbolo degli apostoli, che si può recitare nella Messa, specialmente in tempo di Quaresima e di Pasqua: “Credo la santa chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne. Amen.”.