Commento al Vangelo della seconda domenica del tempo ordinario (A)
Nella seconda domenica del tempo ordinario si legge la versione del vangelo di Giovanni del Battesimo di Gesù, nella testimonianza dal Battista.
Gv 1,29-34
In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Giovanni compie la sua missione di indicarci Il Figlio di Dio che è venuto tra noi. Lo fa dicendo quelle parole che ascoltiamo in ogni messa: Ecco l’agnello di Dio! E’ agnello come quello pasquale il cui sangue versato salvò tutti i primogeniti delle famiglie di Israele in Egitto. Allora ogni famiglia doveva avere un agnello, e spargere il suo sangue sullo stipite della casa. Adesso l’agnello è unico per tutto il popolo, per tutto il mondo. Non è l’agnello di famiglia, ma l’agnello di Dio. E’ avvenuto un cambiamento grande. Un ribaltamento totale.
Quando Israele temeva per la propria sorte per mano dei Filistei, implorava Samuele di intercedere presso Dio per loro. E Samuele prese un agnello e lo offrì tutto a Dio in olocausto. E Il Signore lo esaudì (1 Sam 7,8-9). Samuele faceva quello che tutte le religioni facevano: offrire a Dio animali e frutti della terra come vittime propiziatorie per i peccati. Adesso, con Gesù è cambiato tutto. L’agnello non è più del popolo, del sacerdote, dell’offerente. E’ di Dio. Anzi è Dio stesso. Non si è mai sentita questa cosa. E’ infinitamente nuova. In aramaico la parola “agnello” è la stessa con cui si dice “servo”. Ecco l’agnello di Dio: ecco il servo di Dio. Dunque i carmi del servo del Signore, di Isaia, si applicano tutti a Gesù. E in lui escono dall’oscurità e trovano tutta la loro luce: “Ora ha parlato il Signore, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele (…) e ha detto: «È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d’Israele. Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra». Un unico agnello per salvare tutta la famiglia umana. Che toglie il peccato del mondo, dice Giovanni: al presente e al singolare. Toglie, adesso. Non i singoli peccati per cui bisogna moltiplicare all’infinito i sacrifici, no: toglie il peccato che li raduna tutti. Lo fa sempre, è il suo compito. Come fa a togliere il peccato? Come agnello immolato. Come pecora muta. Toglie il peccato con il suo sacrificio, ma non è un sacrificio come quello degli agnelli, che morivano, venivano bruciati e basta. Gesù dà la sua vita. Il suo corpo e il suo sangue sono donati perché noi abbiamo la vita in abbondanza. Anzi ci avverte: se non mangiate la carne del figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo resusciterò nell’ultimo giorno” (Gv 6, 53-54). E’ un sacrificio di vita e non di morte. Vede l’umanità perduta e abbandonata, come pecore senza pastore, e la va a cercare. Vede tutti gli uomini come amici dispersi, e dà la vita per i propri amici. Vittima d’amore. Sentendo parlare così Giovanni due dei suoi discepoli seguono Gesù e gli chiedono dove abita. Anche noi: tu solo hai parole di vita eterna.