“Giuseppe e Maria. La nostra storia d’amore”. pag 113 |
Nella domenica della Santa Famiglia di Nazaret dell’anno A si legge il Vangelo di Matteo che narra la fuga e il ritorno dall’Egitto. Ne ripropongo l’ultimo passo, con un commento. L’acquerello di Anna Maria Trevisan ritrae la Santa Famiglia in Egitto.
Matteo 2, 19-23
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Dio ci dona suo figlio, che prende la nostra umanità nel seno di una donna, nasce in una famiglia. Giuseppe gli dà un nome, lo protegge, gli insegna un lavoro, gli dà l’affetto di un padre. Maria gli assicura l’appoggio, il nutrimento e l’accudimento come la migliore delle madri. Una nuova famiglia esemplare ci guida al posto di quella formata da Adamo ed Eva. Gesù ha il vantaggio di avere un padre e una madre. Ad Adamo e ad Eva sono mancati, e il Creatore con quell’esperienza, non ha voluto privare suo figlio di un padre e di una madre, una genealogia. Come noi. Ma nelle famiglie che guardano alla santa famiglia sorge il problema: li sentiamo lontani, come facciamo a imitarli? Chi ha una sposa come Maria, uno sposo come Giuseppe, un figlio come Gesù? Rispondiamo: guardate ai guai, alle incertezze e alle paure che hanno avuto. La fuga in Egitto provocata dagli ingenui Magi, andati da Erode a chiedere informazioni, senza sapere che quel re ammazzava anche i figli per timore che gli rubassero il regno. Giuseppe e Maria non se la prendono, non stanno a lamentarsi delle vicende avverse. Ma soffrono. Errori, incompetenze, fragilità anche delle persone che ci vogliono bene entrano nel disegno della provvidenza divina che orienta tutto al bene. La famiglia di Nazaret non ha un percorso privilegiato. Sono profughi, esiliati, perseguitati, ricercati, calunniati, incompresi, poveri, sempre a dover trovare casa e lavoro. In ciò li sentiamo vicini. Giuseppe e Maria si sostengono a vicenda, guardano Gesù, la Scrittura li aiuta. Ascoltano gli angeli nei sogni. Si parlano tra loro. Anche noi possiamo. Siracide ci incoraggia promettendo meraviglie per chi onora il padre e la madre: così espia i peccati e li evita, la sua preghiera è ascoltata e avrà gioia nei propri figli. Anche Paolo sospinge i coniugi ad avere sottomissione reciproca e dolcezza tra loro, a obbedire ai genitori e a non esasperare i figli. Vuol dire che è possibile. Rivestendosi di Cristo, cioè di tenerezza, bontà, umiltà, mansuetudine, magnanimità, sopportandoci a vicenda e perdonandoci gli uni gli altri (cfr Col 3, 12-21). Papa Francesco in Amoris Laetitia (cap. 4) dà tanti consigli per l’amore in famiglia. Suggerisce : “Oggi sappiamo che per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso l’esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i nostri sbagli, o lo sguardo critico delle persone che amiamo, ci hanno fatto perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci induce alla fine a guardarci dagli altri, a fuggire dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni interpersonali. Dunque, poter incolpare gli altri si trasforma in un falso sollievo. C’è bisogno di pregare con la propria storia, di accettare sé stessi, di saper convivere con i propri limiti, e anche di perdonarsi, per poter avere questo medesimo atteggiamento verso gli altri (n.107)”. Perché non provare?