Radio Mater mi ha chiesto alcune trasmissioni a cadenza mensile, il quarto lunedì del mese alle 18.35 per offrire alcuni spunti come chiavi di lettura su aspetti del magistero di papa Francesco. Lunedì 28 ottobre 2019 c’è stata la prima trasmissione di cui riporto l’audio, nella quale ho offerto degli elementi di storia della Chiesa che possono aiutare a capire il messaggio della “chiesa in uscita”, del dialogo col mondo.
per ascoltare o scaricare la trasmissione cliccare qui
Per chi volesse approfondire il tema riporto l’articolo da cui ho preso vari spunti:
MAESTRI E DISCEPOLI
Raccolta di studi di Professori e Studenti del Dipartimento di Storia della Chiesa della Facoltà di Teologia
a cura di
Luis Martínez Ferrer Łukasz Ża
Sfide e risorse del cattolicesimo attuale in prospettiva storica. Riflessioni sul difficile cammino per una Chiesa libera e universale dal ’700 a oggi.
di Carlo Pioppi
1. Introduzione
Per comprendere la situazione attuale della Chiesa Cattolica, i suoi punti di forza, i suoi problemi, l’atteggiamento e le risorse con le quali si dispone ad affrontare le sfide attuali, bisogna risalire al sec. XVIII, e in particolare al 1789, alla Rivoluzione Francese; fu infatti questo un avvenimento che cambiò profondamente la storia occidentale e mondiale, e anche quella del cattolicesimo. Fu un evento iniziato in un mondo profondamente cristiano e, ancor più, confessionale: il 4 maggio del 1789 i lavori degli Stati Generali – che avrebbero condotto alla rivoluzione – si aprirono con una Messa dello Spirito Santo e con una solenne processione dei circa 1.200 delegati lungo le strade di Versaglia, alla quale partecipava anche Maximilien de Robespierre.
Lo stesso movimento rivoluzionario ricevette un impulso decisivo dall’atteggiamento del basso clero che, nel mese di giugno, passò – insieme con alcuni prelati, come Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, vescovo di Autun – nel campo del Terzo Stato, risolvendo così la situazione di stallo che s’era creata per la questione
procedurale, ma importantissima, della votazione per testa o per stato.
Questa rivoluzione, seppur iniziata in un mondo cattolico, avrebbe conosciuto una metamorfosi che l’avrebbe condotta, nel giro di pochi mesi, a una politica gradualmente sempre più laicista, anticlericale, fino a giungere alla persecuzione del cattolicesimo: si pensi allo scisma della
Chiesa Costituzionale, alla soppressione degli ordini religiosi, alle politi– che di scristianizzazione, al cambio del calendario con l’abolizione della domenica e dell’era cristiana, alle parodie blasfeme delle processioni e degli atti liturgici, al saccheggio e chiusura delle chiese, alla distruzione di immagini religiose (con gravi perdite del patrimonio artistico), alle pressioni sui sacerdoti affinché si sposassero, alla prigionia di centinaia di chierici in condizioni disumane e drammatiche nei pontoni di Rochefort e poi nelle fortezze di Ré e Oléron, alle feroci repressioni operate sulle popolazioni cattoliche in Bretagna, in Vandea, a Lione.
Sulla scia delle vittoriose armate francesi, rivoluzionarie e napoleo- niche, tali vessazioni, seppur in misura talvolta minore, si ripeterono in Spagna, Italia, Renania, Belgio, nei cantoni cattolici della Svizzera. Il papa Pio VI sarebbe morto nel 1799 in Francia, prigioniero dei rivoluzionari che, convinti di essere vicini alla distruzione della Chiesa, lo chiamavano ‘Pio VI e ultimo’.
2. La compagine ecclesiale nell’Ancien Régime: una Chiesa piccola.
Prima di proseguire per esporre i cambi profondi avvenuti nel cattolicesimo con la Rivoluzione Francese, bisogna fare un passo indietro e presentare a grandi linee la Chiesa dell’Ancien Régime: essa era infatti – pur in una continuità negli aspetti essenziali (contenuto della fede, sacramenti, gerarchia) – alquanto diversa da quella attuale.
In primo luogo essa era relativamente piccola; il governo della sua vita si svolgeva in buona misura tra Roma e quattro capitali europee: Lisbona, Madrid, Parigi e Vienna, ove risiedevano le quattro grandi corti cattoliche, che erano sede di nunziature cardinalizie; per la loro importanza il nunzio apostolico riceveva infatti la porpora alla fine del suo mandato. Dunque il governo della Chiesa si svolgeva nell’intreccio di relazioni tra il pontefice e questi quattro sovrani, attraverso i quattro rappresentanti diplomatici del papa. V’erano sì non pochi altri stati cattolici, ma di peso politico assai minore: la Polonia-Lituania (che nel sec. XVIII subì tre spartizioni, fino a scomparire dalla carta geografica), la Baviera e tante altre piccole entità politiche cattoliche tedesche, i principati ecclesiastici del Sacro Romano Impero, i cantoni elvetici di confessione cattolica, i regni di Sardegna, e di Napoli e Sicilia, le repubbliche di Venezia e Genova e taluni altri piccoli stati italiani.
Il cattolicesimo americano rivestiva ancora un’importanza relativa- mente limitata rispetto a quello europeo, per cultura, spiritualità, organizzazione, ed era del tutto dipendente dalle potenze coloniali: Portogallo, Spagna e Francia. In Africa, Asia e Oceania la presenza della Chiesa era minima o inesistente. Nei paesi di confessione protestante e ortodossa e nei loro domini coloniali, e in quelli di credo islamico, essa conduceva una stentata sopravvivenza.
3. Una Chiesa controllata dai monarchi
Questa Chiesa poi, non era del tutto libera: essa era invero protetta e privilegiata negli stati confessionali cattolici, godeva di esenzioni fiscali e giuridiche, di potere di controllo sulle persone, sulle scuole, sulla cultura, sulla pubblicazione dei libri; era poi l’unica confessione accettata ufficialmente. Il clero era in grado di esercitare, seguendo i dettami tridentini, un forte influsso sulla popolazione, attraverso le visite pastorali dei vescovi, il controllo dell’ottemperanza del precetto pasquale da parte dei parroci, e così via.
Ma questa protezione aveva un prezzo molto alto: il grande potere concesso nel governo ecclesiastico ai monarchi cattolici, quasi tutti impregnati di una forte mentalità cesaropapista. Tale fenomeno ha una storia assai lunga, la quale può essere in fondo fatta risalire a Costantino, ed ebbe come importanti momenti d’inflessione i secoli IX e X, con la politica ottoniana dei vescovi-conti e con il diffondersi delle chiese private; nonché il periodo del Grande Scisma d’Occidente, durante il quale i pontefici cedettero ai
monarchi numerose competenze di governo ecclesiastico per attrarli alla rispettiva obbedienza.
Fu però nel sec. XVIII che il cesaropapismo conobbe il suo sviluppo più ampio, sotto varie forme e nomi: gallicanesimo, regalismo, giuseppinismo, giurisdizionalismo; sviluppo che giunse a preoccupare grandemente la Santa Sede e la parte più sana della Chiesa. I vari sovrani cattolici, con i loro devoti titoli, Su Majestad Católica, Sua Majestade Fidelíssima, Sa Majesté Très Chrétienne, Seine Apostolische Majestät, si servivano del cattolicesimo e della Chiesa come instrumentum regni, per rendere ancor più solido il loro potere assoluto.
Questa tendenza, presente già nel Medioevo, assunse però nell’Età Moderna connotazioni realmente preoccupanti per la Chiesa, a causa dello sviluppo della struttura e dell’organizzazione degli stati burocratici e poi assoluti, che invece nei secoli precedenti erano state molto embrionali e quindi non avevano rappresentato una minaccia cospicua per la compagine ecclesiale.
Manifestazioni tipiche di questo atteggiamento cesaropapista erano il diritto di presentazione per la nomina dei vescovi, il peso politico per la creazione cardinalizia di sudditi dei propri domini, il diritto di esclusiva sull’elezione del papa (una specie di veto), il placet regio sui documenti pontifici, l’esame dei concili provinciali e della corrispondenza dei vescovi col papa, il controllo di numerose cariche ecclesiastiche, l’ostilità verso gli ordini religiosi e tutto ciò che avesse legami diretti con Roma. Solo in Italia tali manifestazioni antiromane furono più moderate e il papa riusciva a governare in modo efficace le strutture ecclesiali della penisola.
Anche una buona parte dell’attività missionaria era nelle mani dei monarchi cattolici, per il sistema giuridico dei patronati spagnolo (Americhe, Filippine) e portoghese (Brasile, Africa e Asia) e per quello delle capitolazioni nel Medio Oriente (protettorato francese dei cattolici dell’Impero Ottomano); a tal punto che uno dei compiti della Sacra Congregatio de Propaganda Fide (istituita nel 1622) era quello di competere con i patronati e cercare di approfittare di ogni congiuntura politica favorevole per strappare qualche territorio alla giurisdizione dei monarchi iberici. Non di rado tale politica provocò incidenti politici e diplomatici.
Insomma, la situazione della Chiesa alle porte dell’Età Contempo- ranea, era quello di una struttura privilegiata e protetta dalla monarchia assoluta confessionale, ma al tempo stesso da essa in buona misura asservita e controllata. L’evento emblematico di questa condizione fu la manovra operata dalla corte portoghese e da quelle borboniche (Francia, Spagna, Napoli, Parma) che condusse alla soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773. Un altro segno della gravità della situazione fu la riduzione, nell’Italia stessa, dell’area di controllo papale sulla compagine ecclesiastica: per salvaguardare l’indipendenza del pontificato i vescovi di Roma erano stati tutti italiani dalla morte di Adriano VI (1523); ma nel sec. XVIII essi dovettero essere spesso scelti tra i sudditi dello Stato Pontificio, segno che anche nella stessa penisola il giurisdizionalismo dei vari governi aveva ridotto il potere papale.
Tutta questa situazione rendeva il governo della Chiesa assai complicato e sovente soggetto a snervanti trattative diplomatiche; inoltre nuoceva all’unità della Chiesa, poiché un potere troppo grande era concesso alle istanze politiche delle singole nazioni cattoliche.
4. Un’epoca di profondi cambiamenti.
La Rivoluzione Francese segnò la fine di questa situazione, con la se- parazione tra lo stato e la Chiesa, e in seguito con lo scisma, la politica di scristianizzazione, fino alla persecuzione e ai massacri della Vandea, della Bretagna, di Lione. Il cattolicesimo non era più una confessione privilegiata e protetta, ma osteggiata, invisa, vessata, quando non direttamente perseguitata. I regimi liberali che si affermarono nel sec. XIX e anche nella prima metà del XX proseguirono in questa linea. Le legislazioni che prevedevano la separazione tra stato e Chiesa erano sempre accompagnate da norme che sopprimevano gli ordini e le congregazioni religiose, non riconoscevano alla Chiesa e alle sue strutture la personalità giuridica, confiscavano i beni ecclesiastici mobili e immobili, instauravano un sistema educativo chiamato ‘neutro’ ma nella realtà dei fatti ostile al cattolicesimo, secolarizzavano i cimiteri e così via. Al tempo stesso i governi liberali – soprattutto nel sec. XIX – cercavano di mantenere tutti o molti dei poteri statali sulla Chiesa, rimasti come eredità del cesaropapismo dell’Ancien Régime.
È anche importante tenere presente che il frutto delle grandi spolia- zioni del patrimonio ecclesiastico in genere non fu usato a fini sociali; ciò che avvenne con frequenza fu che tali beni furono acquistati a prezzi di ampio favore da un numero limitato di notabili e di borghesi, che costruirono in questo modo le loro fortune. Si creò quindi una classe medio-alta fortemente anticlericale, dato che la sua posizione sociale ed economica derivava in buona misura dalle espropriazioni dei beni della Chiesa. Va anche ricordato che tale operazione diede un grande impulso all’impoverimento delle classi meno fortunate, che ricevevano prima aiuti in denaro e natura, o in diritti di uso, dalla Chiesa; con l’instaurazione del sistema borghese-liberale di proprietà privata su tali patrimoni, questi aiuti sociali cessarono del tutto, creando ampie situazioni di pauperismo, che poi ingrossarono il fiume dell’emigrazione verso le Americhe.
La Chiesa fu dunque sottomessa a legislazioni vessatorie, o che quanto meno eliminarono buona parte dei suoi antichi privilegi, e veniva di conti- nuo spossessata dei suoi beni; particolare accanimento fu espresso da tali governi nei confronti degli ordini religiosi, soprattutto se contemplativi. Anche le confraternite laicali sviluppatesi lungo l’età moderna ebbero molto a soffrire dai nuovi sistemi politici. La gerarchia perse il controllo istituzionale sulla cultura e sull’istruzione, per secoli esercitato attraverso i poteri legali sulle pubblicazioni, sulle scuole, sulle università. La coscrizione obbligatoria divenne non di rado un veicolo di scristianizzazione delle masse, insieme con la scuola ‘neutra’ e la libertà di stampa.
Tale gravosa situazione divenne ancor più pesante nella seconda metà dell’800, quando al romanticismo – movimento culturale nel complesso aperto al fenomeno religioso – succedette il predominio del positivismo, che riuscì in notevole misura a marginalizzare i cattolici nel mondo accademico e in generale negli ambienti intellettuali. Il grande sviluppo scientifico, tecnologico ed economico, unito all’espansione coloniale, che ebbe luogo tra il 1860 e il 1914, diffuse la convinzione che ormai l’umanità avesse imboccato la strada di un progresso, basato sullo sviluppo della ragione, senza che si sentisse più il bisogno della religione.
5. Conseguenze impreviste: una Chiesa più libera
La Chiesa, sebbene duramente colpita e talvolta in grande affanno nella nuova situazione social-religiosa, poco a poco seppe approfittare dei mutamenti in atto per guadagnare spazi di libertà. Passo a passo, attraverso una paziente e costante politica – favorita dal fatto che nel mondo liberale si palesava gradualmente l’incongruenza tra l’aconfessionalità dello stato e gli istituti giuridici regalisti – essa si liberò delle ingerenze statali nel suo governo interno. Gli stati poco a poco abbandonavano – o la Santa Sede riusciva abilmente a strappar loro – i privilegi e poteri di diritto ecclesiastico tipici della monarchia assoluta settecentesca. E, per maggior sicurezza, tali poteri recuperati per la gerarchia ecclesiastica, furono concentrati nella Santa Sede.
I fatti più importanti di questo fenomeno storico furono l’estromissione quasi totale del potere politico dai processi di nomine ecclesiastiche, dalle relazioni di corrispondenza tra Santa Sede e vescovi, dall’organizzazione interna della Chiesa (concili provinciali, seminari, strutturazione degli studi ecclesiastici, ecc.), dalle procedure di diffusione dei documenti magisteriali.
Un segno evidente di tale novità lo si trova nel Concilio Vaticano I (1869-1870), dal quale, per la prima volta nella storia dei sinodi ecumenici, le potenze politiche restarono escluse; si riusciva così a liberare tali importanti eventi ecclesiali dalle incursioni del potere civile: fatto assai rilevante se si considera che il I Concilio di Nicea fu riunito a istanza dell’imperatore Costantino, non ancora battezzato; che tutti i concili del primo millennio furono convocati dall’imperatore romano d’oriente; che in quelli del mondo occidentale dal sec. XII fino a Trento l’intervento delle monarchie e di altri poteri civili fu sempre assai cospicuo.
Anche nel mondo missionario, l’indipendenza dei paesi latinoamericani segnò la fine del Patronato Spagnolo (tranne che a Cuba, a Portorico, nelle Filippine e nelle Marianne); la storia proseguì in quanto le nuove repubbliche si consideravano eredi di tale patronato, ma l’accorta politica della Santa Sede riuscì col tempo a rintuzzare tali pretese. Il Patronato Portoghese continuò a causare problemi alla Santa Sede, soprattutto in India, ma data la debolezza politica del paese, i danni da esso arrecati furono piuttosto limitati. Problemi più seri in tale ambito vennero dalla Francia, con il suo protettorato dei cattolici nell’Impero Ottomano e dei missionari in Cina ed Estremo Oriente, ma anche in questo caso, grazie a una tenace politica vaticana e poi al declino del colonialismo, alla fine la Chiesa riuscì a liberarsi di tale tutela.
6. Una Chiesa più unita
Per una eterogenesi dei fini rispetto ai propugnatori delle politiche rivoluzionarie e liberali, questa libertà della Chiesa divenne una risorsa, un punto di forza, in parte anche in contrasto con l’atteggiamento della gerarchia, che sovente accettava obtorto collo questi cambiamenti socio-religiosi, forieri di positivi effetti secondari e non voluti. Un altro punto di forza fu la notevole crescita dell’unità e la coesione della compagine ecclesiale attorno al suo capo universale, il pontefice romano.
Dopo la tempesta rivoluzionaria e napoleonica, l’ultramontanismo si diffuse in tutta l’Europa, e in particolare nella stessa Francia; qui, la forte e plurisecolare tradizione gallicana ricevette colpi durissimi dallo stesso Bonaparte, il quale senza rendersene conto, contribuì alla crescita di autorità del pontefice tra i vescovi: dapprima esigendo dal papa, al momento del concordato (1801), le dimissioni in blocco di tutto l’episcopato legittimo, e ottenendo lui stesso quelle dei vescovi costituzionali; poi per la tirannica politica con cui governò la Chiesa francese (catechismo imperiale, festa liturgica di san Napoleone, Concilio Imperiale, ecc.). Se i vescovi d’Ancien Régime erano abituati a vedere nel monarca una difesa contro il potere del papato, nel secolo XIX prevalse l’atteggiamento di cercare in Roma la difesa contro un potere civile sempre più ostile, o comunque troppo interventista.
La devozione popolare al papa, un attaccamento affettivo alla sua persona da parte dei fedeli, e la preghiera per lui, si erano poi diffusi grandemente, soprattutto a causa delle prigionie di Pio VI (1798-1799) e di Pio VII (1809-1814) e, dopo, di quella semivolontaria di Pio IX e dei successori in seguito alla conquista dell’ultimo resto degli Stati Pontifici da parte del Regio Esercito Italiano (1870). Al tempo stesso il progresso tecnico nei trasporti (ferrovie, navigazione a vapore) resero più facile e più economico l’arrivo dei pellegrini di tutto il mondo a Roma. Si diffuse ovunque l’Obolo di San Pietro, per sovvenire alle necessità economiche del pontefice privato dei suoi territori.
La Santa Sede, spogliata dei suoi stati e di molti suoi privilegi, perseguì con costanza e successo una politica di accentramento di poteri a Roma, nell’ambito della struttura ecclesiale: la Chiesa dell’800 divenne sempre più una compagine unita attorno al suo capo, uniforme nella liturgia, nella teologia (soprattutto da Leone XIII in poi, con il progetto neotomista), negli atteggiamenti e nelle abitudini della vita quotidiana. Segno emblematico di tale unità attorno al papato fu il Concilio Vaticano I, nel quale fu proclamato solennemente il dogma dell’infallibilità del pontefice; è anche indicativo il fatto che nessun vescovo (nonostante vi fosse stato un 20% di essi che nelle sessioni conciliari si era tenacemente opposto alla proclamazione del dogma) partecipò allo scisma dei vetero-cattolici, i quali dovettero ricorrere ai vescovi della Chiesa Giansenista Olandese per creare una loro gerarchia.
Bisogna anche riconoscere che questo processo di unità della Chiesa attorno al papa fu anche facilitato dalla presenza di molti pontefici degni, ben preparati, muniti di carisma, ciascuno a suo modo: senza dubbio, Pio VII (1800-1823), Pio IX (1846-1878), Leone XIII (1878-1903), Pio X (1903-1914), Benedetto XV (1914-1922), Pio XI (1922-1939) e Pio XII (1939-1958) furono dei papi di una statura spirituale, morale, intellettuale e politica ben più alta dei papi dei due secoli precedenti.
7. Una Chiesa più universale
Un terzo aspetto che fu considerevolmente potenziato nella struttura ecclesiale lungo i secoli XIX e XX fu l’universalità; se la Chiesa, dal punto di vista teologico, è sempre stata cattolica (cioè universale), fu nell’800 quando essa divenne tale anche dal punto di vista geografico e sociologico. In effetti in questo secolo si assiste a una grande ripresa missionaria: Pio VII, con l’aiuto del card. Stefano Borgia, ricostituì e riorganizzò la Sacra Congregatio de Propaganda Fide (praticamente smantellata dalla bufera rivoluzionaria e napoleonica); i suoi successori furono tutti papi con un grande senso missionario: Gregorio XVI (che prima di essere pontefice era stato il prefetto di Propaganda), Pio IX, Leone XIII, Benedetto XV, Pio XI.
Questa riorganizzazione va di pari passo con il fenomeno storico della seconda colonizzazione: a partire dagli anni ’30 (conquista francese dell’Algeria, 1830-1848; Guerra dell’Oppio 1839-1842), le potenze europee e gli Stati Uniti condussero una competizione per accaparrarsi quanti più territori possibili in Africa, Asia e Oceania. La penetrazione europea e nordamericana fu accompagnata dall’invio di missionari da parte della Santa Sede in questi continenti, nei quali la presenza cattolica, dapprima inesistente o assai limitata, iniziò a divenire rilevante.
È notevole il fatto che nell’800 vi siano state numerose fondazioni di istituti missionari, e che, attraverso le associazioni missionarie (Oeuvre de la Propagation de la Foi, Leopoldinenstiftung, ecc.) tutto il popolo fedele cristiano europeo, in tutte le sue classi sociali, venne sensibilizzato riguardo alla sua responsabilità nell’evangelizzazione, attraverso preghiere e offerte pecuniarie, anche di non grande entità.
Inoltre, nei territori dell’Impero Ottomano ormai in piena decadenza, e in altre zone a dominanza islamica, la preponderanza internazionale dell’Occidente favorì una certa libertà e fioritura delle minoranze cristiane, e quindi anche di quella cattolica.
In America Latina la fine della colonizzazione spagnola segnò la fine del regime di patronato, e quindi, almeno a partire dagli anni ’30, una ristrutturazione della gerarchia e della compagine ecclesiale operata direttamente dalla Santa Sede – seppur con una serie di difficoltà coi governi delle varie repubbliche – che col passare dei decenni condusse alla nascita di forti e importanti Chiese particolari dal Río Grande fino alla Terra del Fuoco.
Nelle regioni del Canada e degli Stati Uniti, oltre alla popolazione francofona del Québec, che rappresentava una compatta e disciplinata presenza cattolica, nel sec. XIX avvenne la grande crescita della Chiesa americana, grazie all’immigrazione francese, irlandese e tedesca dapprima, italiana, polacca, ucraina e in generale esteuropea poi.
Inoltre, la Chiesa Cattolica poté avvalersi delle legislazioni liberali negli stati protestanti, per acquisire maggiore libertà di culto, di esistenza, di organizzazione: in tal modo il cattolicesimo riuscì a strutturarsi in una maniera nel complesso libera ed efficiente in tutto l’Impero Britannico (quindi, oltre all’Inghilterra stessa, in regioni dove si trovavano cospicue popolazioni cattoliche, quali il Canada, l’Irlanda, la Scozia, Malta, l’India, l’Australia), nei Paesi Bassi, negli stati germanici luterani (Prussia, Baden, Württemberg, Sassonia, Hannover, ecc.), nei regni scandinavi di Svezia e Danimarca-Norvegia, nei cantoni svizzeri di confessione riformata (Zurigo, Ginevra, Berna, Vaud, Basilea, ecc.). Nel Regno di Prussia tali aperture furono facilitate dal fatto che tale stato aveva incorporato, dopo le guerre napoleoniche, i territori degli antichi principati ecclesiastici del Reno, a popolazione totalmente cattolica.
Infine, dato che una buona parte della Polonia era stata unita all’Impero Russo, il governo zarista dovette concedere ai cattolici una certa possibilità di esistenza tranquilla; mentre nel recente Regno di Grecia, i cattolici furono protetti dapprima dal re Ottone, bavarese, e poi dalle diplomazie francese e austro-ungarica.
La Chiesa, dunque, divenne nel sec. XIX più grande e più universale; segno di questo fu la provenienza dei circa 700 padri conciliari del Vaticano I: 250 erano giunti a Roma da continenti extraeuropei (121 dalle Americhe, 61 dal Medio Oriente, 41 dall’Asia, 18 dall’Oceania, 9 dall’Africa); gli europei, nonostante la predominanza italiana (176 senza contare i padri della Curia Romana), fornivano anch’essi un’impressione di grande distri- buzione geografica: 88 francesi, 51 austroungarici, 41 spagnoli, 20 irlan- desi, 19 tedeschi, 14 inglesi e scozzesi, 7 svizzeri, 6 belgi, 4 olandesi, ecc. Circa 120 vescovi provenivano dai territori dell’Impero Britannico. Certo, molti dei vescovi giunti a Roma da Asia e Africa erano vicari apostolici di origine europea, ma è sempre apprezzabile la presenza di rappresentanti della Chiesa veramente di ogni regione del globo.
Per quanto concerne l’attività missionaria, è poi di grande importanza una svolta avvenuta subito dopo la Prima Guerra Mondiale. Com’è noto, tale conflitto segnò l’inizio della fine del colonialismo, e gli spiriti più lungimiranti se ne resero conto; tra di loro, vi furono anche personaggi del mondo missionario, e in particolare il papa Benedetto XV, che con la lettera apostolica Maximum illud (1919), riuscì a imprimere un decisivo cambiamento alla maniera di portare avanti quelle che erano al tempo chiamate ‘missioni estere’.
Il documento insisteva infatti su tre linee di condotta da seguire nell’evangelizzazione. La prima riguardava i rapporti Chiesa-stato: la lettera apostolica richiamava con forza i missionari a una presa di distanza rispetto alle amministrazioni delle potenze coloniali. La seconda concerneva il governo ecclesiastico; il testo magisteriale mirava a limitare gli effetti negativi del principio della commissione di territorio, che si era imposto nell’opera missionaria soprattutto a partire dal pontificato di Gregorio XVI; secondo questo principio, ogni circoscrizione (vicariato o prefettura) era affidata a un istituto religioso o missionario. L’ultima linea riguardava i rapporti con la popolazione locale, i quali dovevano essere guidati da principi di inculturazione, che si esprimessero in primo luogo attraverso la promozione del clero locale, per giungere poi all’instaurazione di una gerarchia ordinaria autoctona: va considerato che al momento della pubblicazione della Maximum illud, in tutta l’Asia e l’Africa, soltanto nelle Filippine vi erano alcuni vescovi di rito latino provenienti dal clero locale; differente era la situazione nelle comunità cattoliche di rito orientale, le quali erano però nettamente minoritarie rispetto ai latini.
Nel 1922 Benedetto XV moriva, ma la sua politica missionaria fu ripresa con decisione dal successore Pio XI, che la sviluppò con la sua consueta determinazione. Questo pontefice, in stretta collaborazione coi cardinali Pietro Gasparri, segretario di stato, e Willem Marinus van Rossum, prefetto di Propaganda Fide, iniziò negli anni ’20 a ordinare vescovi asiatici. Alla morte di papa Ratti, 40 circoscrizioni ecclesiastiche erano affidate al clero locale in terra di missione. Pio XII avrebbe proseguito tale politica sia in Asia che in Africa.
La Chiesa Cattolica, sotto la guida della Santa Sede, riuscì così a giungere all’appuntamento della decolonizzazione del ’900 meglio preparata che in quella del secolo precedente. Forse a Roma si era fatto tesoro della complessa e per non pochi versi fallimentare vicenda ecclesiastica legata al raggiungimento dell’indipendenza dei paesi latinoamericani nel sec. XIX. La ‘corsa contro il tempo’ intrapresa dalla Santa Sede per dotare la compagine ecclesiale in Asia e Africa di una struttura autoctona ha dato i suoi risultati: la maggioranza dei paesi afroasiatici ha potuto sperimentare il radicamento locale della Chiesa Cattolica.
8. Congregazioni femminili e apostolato laicale
La Rivoluzione Francese e i regimi liberali ottocenteschi causarono senza volerlo, con le loro politiche vessatorie nei confronti del cattolicesimo, altre importanti conseguenze benefiche nella Chiesa. Una di esse fu un radicale mutamento nella vita religiosa femminile. Questa, a partire dal Concilio di Trento, era stata limitata agli ordini di clausura; esistevano delle istituzioni simili alle attuali congregazioni di vita attiva, ma i loro membri non erano propriamente considerate religiose, e di solito non erano dotate di una forte ed efficace struttura organizzativa ad ampio raggio, tranne forse le figlie della carità fondate da Vincenzo de’ Paoli.
Ora, per influsso della feroce critica illuministica agli ordini contemplativi (tacciati di parassitismo sociale) e in generale alla vita consacrata (per via del voto di obbedienza, ritenuto contrario al diritto irrinunciabile alla propria libertà), i governi rivoluzionari, napoleonici e liberali effettuarono una dura politica di soppressioni di monasteri, conventi e ordini (riprendendo e intensificando in questo alcuni aspetti delle politiche regaliste, gallicane e giuseppiniste della seconda metà del sec. XVIII). Solo pochi istituti di provata utilità sociale si poterono salvare da questa falcidie.
Queste politiche condussero a una trasformazione della vita religiosa femminile nel sec. XIX: abbandonata quasi la clausura, si moltiplicarono le fondazioni di vita attiva, che poco a poco trovarono una formula giuridica adeguata nella figura della congregazione, più agile di quella degli antichi ordini.
Di fronte a questa situazione, la gerarchia ecclesiastica venne piano piano incontro alla spinta proveniente dalla stessa vita religiosa femminile, dapprima con molte precauzioni, ma poi sempre più decisamente; e favorì la nascita di molti istituti femminili dediti a opere sociali ben viste o almeno tollerate anche da governi manifestamente anticlericali, sviluppando la figura giuridica delle congregazioni che permetteva anche di ovviare a eccessive interferenze da parte delle autorità civili.
D’altronde, con l’urbanizzazione e lo sviluppo della società industriale si era venuta a creare tutta una serie di differenti bisogni sociali, che questi nuovi istituti seppero cogliere con prontezza e a cui furono capaci di venire incontro: dall’alfabetizzazione e istruzione dei ceti popolari all’educazione delle giovani della borghesia (in crescita numerica e oramai classe dominante), dalla rieducazione delle ragazze dei miseri quartieri periferici delle città industriali all’approntamento di sistemi di accoglienza e protezione per le giovani operaie appena giunte dalla campagna, dalle scuole professionali agli asili per orfani ed esposti, all’assistenza sanitaria sia a domicilio che negli ospedali, alla cura di persone inabili, minorati psichici e fisici, alla collaborazione con le parrocchie per il catechismo dei fanciulli e per gli oratori femminili.
Tale fenomeno condusse anche a una importante crescita numerica assoluta del numero di religiose, che nel sistema di Ancien Régime era piuttosto ridotto. E soprattutto liberò un’enorme quantità di energie femminili fino a quel momento inutilizzate, che offrirono alla Chiesa dell’800 e ’900 un contributo prezioso e insostituibile.
Un altro ambito in cui l’affermazione di regimi liberali causò degli effetti positivi nella compagine ecclesiale fu quello dell’apostolato dei laici. Se nel sistema di Ancien Régime l’accordo col sovrano cattolico garantiva una forte presenza ecclesiale nella società, ora, in uno stato liberale, che mirava alla separazione tra stato e Chiesa, la funzione legislativa era nelle mani di un corpo rappresentativo eletto (in genere solo da ristrette élite): era dunque giocoforza organizzare il laicato cattolico affinché si facesse presente in questi nuovi spazi istituzionali, politici e sociali. Ebbe dunque inizio l’interessante capitolo del movimento sociale cattolico e dell’apostolato laicale contemporaneo.
Tale movimento aveva già iniziato il suo cammino verso la fine del Settecento, con le Amicizie Cristiane fondate da Nikolaus von Diessbach, quindi, nel periodo della Restaurazione, con l’Amicizia Cattolica di Joseph de Maistre e Cesare d’Azeglio. Nell’Ottocento inoltrato, la necessità di mobilitazione dei laici si fece sentire in molti paesi d’Europa: in Italia con l’Opera dei Congressi, in Germania con i Katholikentag, negli Stati Uniti con i Knights of Columbus, e poco a poco in tutti i paesi europei ed americani. Spesso nel sec. XIX questi movimenti avevano una spiccata
connotazione politica e sociale (nel senso ampio di rendere la Chiesa presente in un mondo che non era più da lei controllato per via istituzionale); inoltre erano in genere sottoposti a uno stretto controllo da parte dell’episcopato, se non della Santa Sede, in consonanza con fenomeno di accentramento gerarchico in opera nella Chiesa del tempo.
Nel ’900 si assiste a un processo di approfondimento spirituale della condizione laicale: in generale l’aspetto politico-sociale passò in secondo piano o venne accompagnato da una profonda ricerca della santità nella condizione secolare; l’Azione Cattolica di Pio XI sottolineava grandemente gli aspetti di formazione dottrinale e spirituale, e accanto ad essa sorsero un gran numero di realtà volte alla ricerca della santità per i comuni fedeli cattolici: solo per offrire qualche esempio si possono ricordare il Movimento dei Focolari, il Cammino Neocatecumenale, il Rinnovamen- to nello Spirito, Comunione e Liberazione, Chémin Neuf, i Cursillos de Cristiandad, la Acción Católica Nacional de Propagandistas, e così via. In questo ambiente di ricerca della santità nel mondo si colloca anche, pur con sue specifiche particolarità, l’istituzione fondata da Josemaría Escrivá de Balaguer, l’Opus Dei.
9. Le sfide dei secc. XIX-XX
Le grandi sfide della Chiesa a partire dalla Rivoluzione Francese sono state principalmente il confronto e talvolta la lotta aperta con le ideologie contemporanee, sorta di religioni secolarizzate che hanno sostituito a Dio e alla vita eterna un obiettivo di felicità intramondana posto nel futuro, ma con una fede in esso che, se non fossero state per lo più negatrici di ogni trascendenza, le si sarebbe potute chiamare religioni.
Esse furono il liberalismo, il nazionalismo, il positivismo, il socialismo, nelle loro diverse forme e varianti e anche nelle diverse combinazioni che ebbero tra loro.
La prima sfida per la Chiesa, lungo quasi tutto il sec. XIX, fu il liberalismo, nelle sue forme più radicali, che poneva lo sviluppo della libertà dell’individuo (non della persona) come bene per giungere alla felicità umana.
Il liberalismo, fenomeno assai complesso e difficile da riassumere in poche righe, contiene in sé tre principali aspetti: uno politico, riguardante i diritti dei cittadini, la divisione dei poteri, un sistema rappresentativo, una serie di diritti di difesa dell’individuo rispetto al potere esecutivo e giudiziario, la separazione tra lo stato e le Chiese. Suoi limiti, soprattutto nell’800, furono il fatto che i sistemi rappresentativi liberali erano censitari, cioè agli eletti e agli elettori era richiesto un certo livello di ricchezza o di educazione; ma anche per i sistemi a suffragio universale, relativamente pochi fino alla Prima Guerra Mondiale, prevaleva l’idea che bastasse, per l’uguaglianza, il diritto di voto a tutti, senza preoccuparsi, come avrebbe invece fatto il pensiero democratico, di dare a tutti delle possibilità reali di sviluppo educativo, economico, professionale, sociale.
Un secondo aspetto del liberalismo era quello economico, che andava di pari passo con la Rivoluzione Industriale: questa fu dapprima fenomeno tipicamente britannico, ma dopo le guerre napoleoniche passò la Manica e si diffuse in Belgio, nella Francia del Nord-Est, nella Renania, e oltreoceano negli Stati Uniti, per raggiungere più avanti tutti i paesi europei e il Giappone. Il liberalismo ottocentesco sosteneva l’esistenza di leggi naturali dell’economia che, se lasciate funzionare liberamente nei rapporti tra i singoli individui, avrebbero condotto il sistema al suo punto di equilibrio e a una crescita, dunque a un miglioramento generale. Insomma, si riteneva, in una visione utilitaristica, che l’egoismo individualistico avrebbe alla fine condotto a una condizione più felice dell’umanità. Alla base di questo sistema vi era dunque l’eliminazione: di ogni intervento dello stato nell’economia; di ogni politica assistenzialistica o di difesa dei diritti degli operai; di ogni tipo di organizzazione dei lavoratori (sia che si trattasse di antiche corporazioni che di moderni sindacati). Questa struttura dell’economia era poi combinata con un sistema politico rappresentativo a ristretto suffragio censitario. Tale combinazione, lungi dal contribuire alla felicità generale della popolazione, causò i gravissimi costi sociali e le crudeli ingiustizie della Rivoluzione Industriale.
Il terzo aspetto del liberalismo causava ancor più preoccupazione al mondo cattolico; si trattava di quello più ideologico, della rivendicazione della libertà dell’essere umano come massimo valore da porre a base della società, della legislazione: libertà svincolata da ogni credo religioso e, talvolta, anche dalle conseguenti responsabilità. Così il liberalismo propugnò, volta per volta, la scuola cosiddetta neutra (che in realtà non può esistere), la libertà di stampa, la eliminazione dello stato confessionale, il divorzio, l’eliminazione della censura, e più avanti l’aborto, l’eutanasia, la libertà di assumere sostanze stupefacenti, l’amore libero, il matrimonio e l’adozione come diritti delle coppie omosessuali, le nuove possibilità aperte dallo sviluppo della biologia, ecc. Molte di queste rivendicazioni, presentate come diritti civili, erano (e sono) in diretto contrasto con la dottrina cattolica. Su tali questioni e in certa misura su quelle economiche, alla fin fine, si riscontra una certa irriducibilità tra il pensiero liberale puro e la tradizione cattolica. Invece per ciò che concerne le questioni politiche, tale contrasto è molto meno presente, a livello teorico.
Ma nella fattualità storica, almeno per buona parte dell’800, tale irriducibilità fu molto forte su tutta la linea, anche politica. Per il cattolico della prima metà – e oltre – del sec. XIX, liberalismo significava Rivoluzione Francese, persecuzione della Chiesa, espropriazione di beni ecclesiastici, soppressione di ordini religiosi, politiche vessatorie nei confronti dei cattolici, un sistema economico basato sull’egoismo e sull’avarizia che provocava masse di indigenti che vivevano a livelli infraumani nei quartieri operai delle periferie delle città industriali. Dunque, per tutto il sec. XIX la grande maggioranza del mondo cattolico percepiva nel liberalismo il principale nemico della Chiesa, come si può evincere dal significativo titolo comune a due libri del tempo: El liberalismo es pecado, uno scritto dal sacerdote catalano Félix Sardá y Salvany, l’altro dal vescovo spagnolo in Colombia Ezequiel Moreno.
Il liberalismo non fu l’unica ideologia politica presente dell’età contemporanea: insieme con esso si svilupparono anche il nazionalismo e il socialismo, che divennero grandi fenomeni di massa, grazie all’utilizzo di moderni mezzi propagandistici. Il primo propugnava l’ottenimento della felicità attraverso lo sviluppo della potenza della propria nazione: nato con la Rivoluzione Francese e il mito della Grande Nation, si sviluppò con il romanticismo, e prese auge nel periodo dell’imperialismo (1871-1914), per giungere all’apice della sua fortuna nel periodo tra i due conflitti mondiali. Esso, a seconda dei luoghi, assunse toni più o meno legati al fattore razziale; in questo senso la sua realizzazione più intensa e anche più tragica fu quella del nazionalsocialismo tedesco (1933-1945), ispiratosi, ma con toni assai più estremi, alla precedente esperienza del fascismo italiano (1922-1945).
Il socialismo e il comunismo ponevano invece il loro obiettivo in un futuro radioso dell’umanità, basato su una società senza classi e senza sfruttamento economico. La realizzazione politica più solida, anch’essa drammatica per i costi in termini di vite umane, fu quella del marxismo-leninismo in Unione Sovietica, e man mano negli altri paesi a regime comunista: Polonia, Germania Orientale, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Yugoslavia, Albania, Cina, Corea del Nord, Vietnam, Cambogia, Cuba, Angola, Mozambico, Etiopia, ecc.
Socialismo e nazionalismo entrarono non di rado in lotta tra loro e anche col liberalismo e col cattolicesimo; tutto ciò condusse talvolta a un ammorbidimento della conflittualità tra cattolicesimo e liberalismo, e ad alleanze e composizioni di vario tipo (cattolici e nazionalisti, liberali e nazionalisti, cattolici e socialisti, ecc.), che resero i conflitti ideologici e politici assai più complessi.
10. Una psicologia da fortezza assediata
Come si è visto, questo ampio processo storico qui brevemente descritto condusse la Chiesa ad acquisire una straordinaria compattezza, unità, uniformità e libertà di autogoverno, quale non aveva raggiunto nella sua storia prima di allora. Tale granitica solidità aveva però anch’essa un suo prezzo: d’un lato un forte autoritarismo interno; dall’altro una psicologia spesso definita da ‘fortezza assediata’; quest’ultima si esprimeva in un forte pessimismo riguardo ai tempi moderni, un rigetto in blocco della modernità, una sensazione che il mondo fosse ormai divenuto ostile e malvagio e che dunque bisognasse ricreare una compagine cristiana all’interno della società che aveva abbandonato la religione degli antenati. È infatti l’epoca dello sviluppo delle scuole cattoliche, delle università cattoliche, delle banche cattoliche, dei sindacati cattolici, delle associazioni giovanili e sportive cattoliche, degli uffici di collocamento cattolici, ecc. Tale compagine trovò anche, a partire da Leone XIII, la sua filosofia nel neotomismo; aveva le sue pratiche devozionali, tra le quali primeggiava quella al Sacro Cuore, di riparazione per i peccati e l’allontanamento di una società che aveva abbandonato il suo Dio, e quella, da essa derivata, a Cristo Re; aveva la sua legge, il diritto canonico, che nel 1917 fu codificato. A partire da tutto ciò si diffuse l’ecclesiologia della Chiesa come societas perfecta, una società completa, che ha in sé tutto (autorità, legge, cultura, istituzioni educative, ecc.) e che tratta con gli stati da pari a pari, attraverso trattati di diritto internazionale quali sono i concordati.
Tale mentalità dava al mondo cattolico una grande forza, che fu di no- tevole importanza per fare fronte alle sfide dei totalitarismi ideologici del sec. XX: fu tale struttura che permise alla Chiesa di tenere testa al fascismo in Italia, al nazionalsocialismo in Germania, ai regimi comunisti, a governi liberali-radicali quali quelli francesi a cavallo tra ’800 e ’900, o quelli messicani degli anni ’20 e ’30 del sec. XX. La Chiesa, con tale struttura compatta e unita, internazionale, seppe mantenere la sua indipendenza, seppe sopravvivere, seppe opporsi (si ricordino le encicliche Non abbiamo bisogno del 1931 e Mit brennender Sorge del 1937), seppe vincere, come nella Polonia comunista.
Ma gli atteggiamenti che scaturivano dalla psicologia della fortezza assediata erano anche in parte non del tutto consoni agli ideali evangelici: vi regnava infatti l’idea dello scontro, della lotta contro il mondo e la modernità, la condanna verso tutto ciò che stesse fuori dalle mura della fortezza; vi erano non di rado toni apocalittici, e un porsi in modo giudicante verso ogni realtà altra, una chiusura a tutto ciò che non fosse cattolico. Molti cattolici del tempo erano convinti che fosse in atto da decenni una congiura contro la Chiesa, nella quale si sarebbero uniti esponenti della massoneria, del protestantesimo e dell’ebraismo. Tutto ciò fu ancor più accentuato durante la repressione del modernismo: la Santa Sede e la gerarchia individuarono giustamente in tale tendenza teologica un serio pericolo, ma il contenimento di essa si tradusse non poche volte in un clima di sospetto e di chiusura a ogni novità.
11. Un cambiamento di prospettiva
Il Primo Conflitto Mondiale segnò un punto d’inflessione del predominio dell’ideologia liberale, che conobbe una grave crisi, a giovamento di movimenti comunisti e nazionalisti: nel 1917 i primi prendevano il potere in Russia; nel 1922 il fascismo s’impadroniva del governo in Italia, e movimenti simili si diffusero in tutta l’Europa. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, la forza culturale e politica delle ideologie nazionaliste fu molto ridimensionata; restava però il grande scontro tra il mondo libe- rale e quello socialista, che si affrontavano nella cosiddetta Guerra Fredda.
Dopo il 1945, nel mondo occidentale avvennero dei grandi cambia- menti sociali e culturali: lo stesso conflitto aveva permesso di superare la stagnazione economica iniziata con la crisi del 1929, soprattutto negli Stati Uniti; di lì, grazie al Piano Marshall, massicci aiuti economici pervennero ai paesi europei alleati della grande superpotenza, impegnati in un titanico lavoro di ricostruzione. Tutto ciò condusse a un’enorme crescita economica di tali nazioni, accompagnata, grazie a politiche economiche di distribuzione della ricchezza e dei servizi, da una graduale e continua crescita della classe media. Questa portò anche a un generale innalzamento del livello culturale, favorito viepiù dalla diffusione della televisione.
La nuova società occidentale che si stava configurando nel quindi- cennio dopo la Seconda Guerra Mondiale, mal si adattava con l’immagine di struttura chiusa, monolitica e autoritaria che la Chiesa del tempo lasciava trasparire. Nel mondo cattolico si sentiva sempre più la necessità di un cambiamento di stile, che potesse andare incontro ai mutamenti ormai irreversibilmente avvenuti nella società. Tale processo fu iniziato dal papa Giovanni XXIII con la convocazione del Concilio Vaticano II, e portato avanti dal suo successore Paolo VI. Si trattava di rielaborare la presentazione delle stesse verità di fede in un modo più consono alla mentalità dell’uomo degli anni ’60. Erano questi anni, tra l’altro, pervasi da un certo ottimismo ingenuo: la crescita economica avvenuta, il benessere portato da essa, lo sviluppo tecnologico, la fine del colonialismo, lo sviluppo dello stato sociale, sembravano condurre l’umanità verso un futuro migliore.
Il concilio portò a termine un eccellente lavoro, producendo dei documenti nei quali la bimillenaria tradizione cattolica era coniugata con un nuovo linguaggio e nuovi atteggiamenti, permeati da desiderio di apertura, di dialogo con le altre religioni, con le altre confessioni cristiane, con la cultura contemporanea e anche con le ideologie che essa aveva prodotto, in particolare con il socialismo.
Nonostante la bontà dei documenti, il Vaticano II fu seguito da un’acuta crisi ecclesiale che durò una decina d’anni (1966-1975). Essa necessita ancora un approfondito studio storiografico, ma senz’altro vi ebbero parte: una grande effervescenza e uno smoderato desiderio di sperimentazione, acuito dalla precedente situazione di uniformità imposta dall’alto; un desiderio di dialogo con tutti come contraltare del precedente atteggiamento di scontro e chiusura: desiderio di dialogo che però si trasformò spesso in una crisi identitaria; una maldestra gestione del cambiamento da parte delle autorità competenti, talvolta misto a certa ingenuità; un crescente atteggiamento di rivendicazioni dal basso che sconfinò talvolta in un ambiente quasi rivoluzionario all’interno della Chiesa.
Tra l’altro, nella società ebbe luogo un fenomeno parallelo, la contestazione studentesca, che ebbe il suo apice nel 1968, caratterizzata dalla critica e dal rifiuto dei valori tradizionali, familiari e patriottici, con fenomeni che trasformarono in modo assai rapido usi e costumi dei giovani: la rivoluzione sessuale, favorita dalla diffusione degli strumenti contraccettivi; la critica al capitalismo e all’imperialismo americano (sono gli anni della Guerra del Vietnam), nonché l’esaltazione ingenua del comunismo cinese; la diffusione dell’uso di stupefacenti; il rifiuto delle idee di ordine, responsabilità, onore, sacrificio; il predominio culturale del marxismo occidentale – non ‘ortodosso’ rispetto a quello sovietico – rappresentato in buona misura dai filosofi della Scuola di Francoforte; la miscela tra Marx e Freud, in auge sin da prima con le opere di Wilhelm Reich.
Paolo VI riuscì con una certa difficoltà a contenere la grave crisi che colpì la Chiesa, e il suo successore Giovanni Paolo II, col suo lungo ponti- ficato, poté incanalare in maniera più ordinata le grandi energie di rinnovamento espresse dal Concilio Vaticano II: egli fece questo anche entrando direttamente in contatto con i fedeli, grazie a una forte politica di presenza del papato (visite pastorali alle parrocchie romane, viaggi in Italia, in Euro- pa, in tutto il mondo), a una continua produzione magisteriale, alle giornate mondiali della gioventù, alla preparazione e allo svolgimento del’Anno Santo 2000. Inoltre il papa polacco si valse dell’appoggio di nuove realtà, che presero il posto che aveva avuto l’Azione Cattolica (che in molti paesi soffrì una profonda crisi nel postconcilio) nella formazione del laicato: ad esempio il Cammino Neocatumenale, Comunione e Liberazione, i focolarini, l’Opus Dei, Regnum Christi, la comunità dell’Emmanuel.
12. Le sfide attuali
Nel 1989 aveva termine anche l’esperienza politica del ‘socialismo reale’: l’Unione Sovietica e i suoi satelliti mostravano tutta la loro debolezza e il loro fallimento, di fronte a una decisa politica estera americana e ai dissensi interni, amplificati dal supporto che il papa polacco diede ai mo- vimenti di libertà in tali paesi. Il cattolicesimo si trovò di nuovo di fronte al liberalismo che si presentava ora come ideologia dominante: all’inizio del nuovo millennio esso aveva in buona misura assorbito gli ambienti culturali e politici di derivazione ideologica socialista, e iniziava a presentarsi di nuovo con accenti anticattolici simili a quelli decimononici.
Nella Chiesa, dopo il papato di Benedetto XVI – che si potrebbe forse definire di transizione, o di successione a un pontefice dalla statura gigantesca –, che ha offerto un magistero di altissimo livello intellettuale, il papa Francesco ha ripreso la strada indicata dal Vaticano II: la ricerca di dialogo, un atteggiamento più evangelico, più pastorale, più aperto, più attento ai grandi bisogni materiali e spirituali dell’umanità, meno autoreferenziale e giudicante.
Nel frattempo però il mondo era cambiato: la fine della Guerra Fredda si è in molti casi risolta in ampie zone di disordine internazionale; la globalizzazione ha limitato di fatto il potere degli stati nazionali meno forti a favore dei poteri finanziari; grandi fenomeni migratori hanno trasformato il tessuto sociale dei paesi europei un tempo di cultura essenzialmente cattolica; la secolarizzazione ha fatto grandi passi in avanti, soprattutto nei paesi più ricchi e organizzati; la rivoluzione informatica ha veramente provocato dei cambiamenti epocali in ogni ambito; il radicalismo islamico ha gettato un’ombra negativa sul fenomeno religioso in generale; si sono iniziate a profilare nuove grandi potenze, quali la Repubblica Popolare Cinese; la crisi economica ha condotto a politiche di ridimensionamento dello stato sociale. Si assiste dunque allo svilupparsi di una società più liquida, cangiante, in continuo e rapido movimento, nella quale la Chiesa appare per taluni versi in difficoltà, con una certa fatica a situarsi.
Di fronte a tale situazione, il papa argentino sembra voler percorrere una strada realista e inclusiva, seguendo in questo la bimillenaria tradizione cattolica: certamente ampie fasce della popolazione cattolica non conoscono bene il dogma e non mettono in pratica la morale predicata nel catechismo, e soffrono di una crisi identitaria, ma il pontefice mira a non perdere il contatto con queste folle; con un atteggiamento che fa pensare – tanto per offrire uno tra i molti precedenti storici – a quello della Chiesa nell’Alto Medioevo, dopo le invasioni barbariche, con i battesimi di massa dei popoli germanici, slavi, celtici, scandinavi, magiari, baltici, che hanno avvicinato tali nazioni alla Chiesa, ma hanno poi richiesto un lungo e paziente lavoro di educazione, durato diverse generazioni.
La Chiesa, del resto, mantiene molti punti di forza conquistati negli ultimi due secoli: una notevole unità (seppure intaccata negli ultimi anni dalla trasformazione del mondo della comunicazione avvenuta attraverso la rete), una chiara universalità, una sempre maggiore libertà nei confronti del potere politico, un buon numero di laici, uomini e donne, preparati e ben convinti della propria fede, con spirito d’indipendenza e iniziativa, capaci di sopravvivere e vivere in un ambiente ostile.
Operando una sintesi – ovviamente soggetta, come ogni sintesi, ai li- miti della riduzione in poche parole di una realtà complessa – si potrebbe affermare che nella Chiesa antica furono i vescovi a svolgere l’elemento evangelizzatore principale, in quella tardoantica e altomedievale i monaci, il quella bassomedievale gli ordini mendicanti, in quella tridentina i parroci e i chierici regolari, in quella contemporanea, dopo il Vaticano II, i laici. Per il nuovo millennio s’intravvede una sempre maggiore rilevanza del laicato femminile, che va gradualmente acquisendo sempre più im- portanza nella società, e che forse potrà essere prezioso nel dialogo con l’Islam, attraverso il dialogo con donne musulmane.
Per questo sembrerebbe utile che la Chiesa Cattolica sappia abbandonare i residui di clericalismo (vale a dire di comprensione del ministero ordinato come fonte di potere e controllo, e non di servizio) ancora presenti nella sua organizzazione, e sappia concedere spazi e libertà all’azione apostolica, culturale e sociale dei fedeli laici, uomini e donne.
MI COMPIACCIO VIVAMENTE PER QUESTO NUOVO INCARICO RADIOFONICO PASTORALE IN AGGIUNTA AD ALTRI ANALOGHI, CHE TI PERMETTERA DI AMPLIARE L'ORIZZONTE DEL TUO BLOG.
Grazie don Andrea! Molto chiaro e utile