l’ultima parola. Ma Gesù ha sentito ciò che stavano dicendo. E’ del tutto presente, non gli sfugge nulla, soprattutto ciò che tocca i suoi amici. A Gesù interessa Giàiro e sua figlia e interviene per aiutarlo. Gli amici non debbono averla vinta. Per la potenza di Dio, che sia malata o che sia morta, non fa grande differenza. La differenza la può fare la fede di Giàiro, è quindi è molto importante che non venga meno. Gli amici e i parenti possono dire quello che vogliono, Gesù non li rimprovera. Ma incoraggia il capo della sinagoga a non perdere la speranza, a non aver paura delle cattive notizie, neanche della morte perché c’è qui qualcuno che è più potente della morte. C’è l’ Amore stesso di un Dio fatto carne, c’è
“Non temere, soltanto abbi fede!”. La figlia di Giairo per Gesù non è morta: le prende la mano e cammina. (2ª parte)
Mc 5,35-43
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
Stava ancora parlando Gesù con la donna, che arrivano i parenti a dire a Giàiro che la figlia è morta, di non disturbare più il Maestro. Apparente garbo che nasconde l’ assenza di speranza. Nella Scrittura si narra di Elia che fa risorgere il figlio della vedova che lo ospitava, e di Eliseo che distendendosi sul corpo del figlio della Shunnamita, aveva ottenuto da Dio il prodigio di riportarlo alla vita e di restituirlo alla madre, e loro che sono nell’ambiente della sinagoga avrebbero potuto ricordare. E gli amici sapevano che Giairo sperava nell’azione di Gesù, ma scelgono la logica più terrena. Gli portano la brutta notizia e cercano di distoglierlo dall’impresa Strana amicizia che si impegna a distruggere la speranza. Vogliono coinvolgerlo nel loro realismo. Era sembrato a loro fin dall’inizio una iniziativa poco sensata quella di “ importunare “il Maestro. Ora, alla luce dell’esito fatale della malattia della fanciulla, lo appare ancora di più. Tutto è finito, è arrivata la morte a concludere le sofferenze della tua figliola. E’ tornata con i nostri padri; ormai è nel mondo dei più. La corruzione del corpo è già cominciata. La stanno sistemando, lavando, rivestendo. Lascia stare il maestro, la morte ha avuto ancora una volta
Parenti amici e conoscenti fanno rumore e pianto. Vogliono manifestare il dolore e attraverso lo strepito dire a tutti: la fanciulla è morta e noi sconsolati la piangiamo, piangete con noi. Gesù non si fa condizionare, è determinato e pieno di autorità: perché tutto questo baccano? Se è solo addormentata! Non gli basta aver deciso di operare il miracolo. Vuole dare certezza intorno. Vuole continuare a sostenere Giàiro e la sua fede: Giàiro sento e vedo tutto questo pianto, ma tu abbi fede! Vuole preparare anche negli sconosciuti l’accoglienza del prodigio e sdrammatizzarlo un po’. Per tutta risposta lo deridono. Gesù non ha temuto la derisione e non ha voluto evitarla. Anzi l’ ha provocata, lasciando a loro la possibilità di aprirsi alla fede, alla possibilità del miracolo: nella casa con Giàiro sta entrando quel Gesù di cui tutti parlano, quel nuovo profeta che fa miracoli e che opera guarigioni. Ma quell’insieme di personaggi non cambia atteggiamento. Allora li caccia fuori. Entrano con lui, dov’è la fanciulla, il padre (ormai non conta che sia capo della sinagoga) e la madre di lei. Li manda fuori tutti e trattiene con sé solo Pietro, Giacomo e Giovanni, che più avanti lo vedranno trasfigurato sul Tabor e agonizzante nel Getzemani. I genitori: grazie al loro amarsi, alla loro unione, fu concepita, la fanciulla cominciò a esistere piena del dono della vita: è giusto che siano testimoni del suo ritorno alla vita. La stanza è in pace, i genitori sono sconvolti dal dolore. Pietro, Giacomo e Giovanni guardano ascoltano, sanno che se Gesù li ha presi in disparte è per qualcosa che esce dall’ordinario La fanciulla è distesa, con la tranquillità un po’ eccessiva della morte, con quel pallore, con la bellezza dei lineamenti finalmente distesi, e di fatto sembra dormire. Ma non respira. Gesù si è fermato a guardarla, e il gesto che sta per compiere è la sintesi della sua semplicità e della sua umanità. La prende per mano. Con la mano le prende la mano. Mano forte con manina bianca, già un po’ fredda. Le prende la mano. Innumerevoli volte Giuseppe e Maria, quando era bambino, lo hanno preso per mano. Era la mano del padre che dà sicurezza e protezione, e certezza che c’è un padre che ama e che guida i nostri passi. Non possiamo perderci e se inciampiamo ci solleva con le sue forze perché non cadiamo, perché non ci faccia del male la caduta. Era la mano della mamma sul figlio stanco che dà consolazione e speranza. La mano duttile, la mano agile, strumento geniale della creazione. La mano capace di lavoro e di carezze, la mano con cui si scrive, si dipinge e si scolpisce il marmo. La mano delle impronte uniche e inimitabili, che ci porge il cibo e ci difende dai pericoli. Che è parte di noi e che esprime tutto di noi. La mano di Gesù che prende la mano della fanciulla è anche la mano di Dio sulla quale è scritto il nome di ciascuno di noi: “Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco sulle palme delle mie mani ti ho disegnato” (cfr Is, 49,15-16). E’ la mano che inchiodata sulla croce prende per mano tutti e ci solleva a sé: “Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me”(Gv 12,32). Ci attira sollevandoci dal letto di morte, prendendoci per mano. Ci attira a sé, come fonte della vita, restituendoci la vita perduta. La mano di Dio che protegge, che benedice e che salva. Le prende la mano e le parla. Gesti e parole con i quali Gesù ci salva. Le dice: «Talità kum», il fascino del suono delle stesse parole del Salvatore nella sua lingua materna, non ha più abbandonato i discepoli, che le hanno ascoltate e le hanno ripetute in giro per il mondo ai nuovi battezzati e il Vangelo di Marco le ha conservate, tra le poche tracce di aramaico dei vangeli. Gesti e parole del Salvatore. Fanciulla alzati! La ragazza lo ascolta subito dice il Vangelo di Marco. Non ha esitazioni: ha ascoltato la voce che già la chiamò alla vita dal primo istante del suo concepimento. L’ha riconosciuta. Ha ascoltato la voce di colui che dice di sé: “ io sono la vita “, e ha risposto con la vita. Fanciulla ti dico: alzati, ricomincia a vivere, a camminare, a saltare, a giocare, a cantare. E’ il brano evangelico dei quattro “subito”: subito la donna era stata guarita e subito il Signore si era accorto. “ Subito la fanciulla si alzò e camminava: era infatti di dodici anni.” E’ chiamata alla vita e non ha esitazioni, anzi ha eccitazione: cammina, si muove. “ E subito furono stupefatti di stupore grande “. Gesù sa che in questi casi la voglia è di gridare e di chiamare tutto il vicinato. Ma lui raccomanda molto di non dirlo a nessuno. Non cercava la fama, la popolarità. Sapeva che il popolo non era così pronto a capire il vero senso della sua missione, e voleva portarlo per gradi. Non voleva che lo acclamassero come re. Anche per questo aveva detto: guardate che dorme. E’ molto umano il Redentore dell’ uomo e siccome i genitori potrebbero non accorgersi, nell’ euforia straordinaria della vita ritrovata, che la bimba ha consumato molte energie nella malattia e nella morte, e che le bambine, a volte, a causa delle emozioni tralasciano il cibo, per questo raccomanda loro di darle da mangiare.
Per fede Giairo andò a cercare Gesù che gli guarisse la figlia. Per fede non ascoltò i consigli degli amici senza fede. Per fede fu perseverante nel portarsi Gesù a casa nonostante la notizia della morte della bambina. Della sua fede contagiò la moglie. Grazie anche alla sua fede la bimba riebbe la vita. E le diedero da mangiare cose buone.
Che bello e che coraggioso questo suo commento! In questi giorni ho voluto rileggerlo per decidermi ogni volta a favore di una fede più profonda, per non allontanarmi affrettatamente e senza speranza dalle complicazioni quotidiane.
Mi accorgo che, accanto ai fatti miracolosi che impegnano Gesù, lei porge la possibilità di comprendere alla fonte gli atteggiamenti e i sentimenti più autentici, così umani: "gli sta vicino", "vuole essere attorniato da pochi sicuri, che credono", "ci solleva con le sue forze", "sanno che Gesù li ha presi in disparte per qualcosa di straordinario"…
Mi rafforza anche la scoperta di una fede non predeterminata che si può vivere vivendo ben immersi nella realtà, "non cercava la fama", "ho sentito Giairo, quello che ti hanno detto… non ti abbandono, non cambio idea", senza lasciare per il dopo una scarna interpretazione dei fatti più accomodante ma scoraggiata. Grazie.
"Strana amicizia che si impegna a distruggere la speranza. Vogliono coinvolgerlo nel loro realismo."
Mi ha fatto molto pensare questa frase, perchè a volte capita proprio così, che gli amici (ma anche i fratelli i genitori i figli) son lì ad analizzare con realismo le vicende e invece di sostenere la fede la mettono alla prova, in discussione… e quanti pasticci succedono per questa incapacità di guardare la realtà con gli occhi della fede. CHissà forse la realtà è una cosa e il realismo è un'altra?!
Questo modo di esprimere il problema che ho affacciato, e che può avere tante manifestazioni, "la realtà forse è una cosa e il realismo un'altra" è molto efficace. ci capiamo: c'è un realismo buono e valido, per esempio quello del buon filosofo che non nega la realtà che lo circonda e la sua conoscibilità. Ma c'è un realismo che si macchia di ideologia, e forza la realtà; soprattutto dimentica che Dio e tutta la forza della redenzione, della grazia, dell'Eucaristia, del perdono ricevuto possa cambiare la realtà: il pane non diventa forse il corpo di Cristo con la transustanziazione che avviene nella Messa? Il realismo cinico che scoraggia le persone a seguire alti ideali. Giovanni Paolo II a Verona parlava ai giovani nell'Arena, nel 1987 e raccontava una sua esperienza. di persone con problemi di fede che cercavano di risolvere solo con l'intelletto e non riuscivano, poi andavano alla confessione, e scoprivano la fede…all'Eucaristia e la rafforzavano…