Commento al Vangelo domenica XXVI (Anno B)
Per fede Bartimèo ricevette l’insegnamento del padre Timèo. Per fede si preparò all’incontro con il Maestro attraverso la preghiera.
Per fede si mise a urlare: abbi pietà di me! Per fede balzò dal ciglio della strada e lanciò via il mantello con tutte le sue povere speranze di protezione. Per fede chiese: “Maestro mio, che io veda di nuovo!”. Per fede lo seguì lungo la strada della vita.
Mc 10,46-52
Bartimèo non era cieco dalla nascita.
Aveva imparato a riconoscere dal colore del cielo il temporale che si avvicina, o il calore molto forte di una giornata di sole afosa e dal rosso del tramonto la speranza del bel tempo per il giorno dopo. La differenza delle lune che guidavano il lavoro dei campi, con le nubi che giravano intorno.
E aveva provato da bambino, spinto per gara scherzosa da suo padre Timèo, a contare le stelle del cielo nelle dolci notti chiare e senza vento. Lo faceva per mettersi nei panni di Abramo loro padre, quando Dio lo sfidò a quel gioco per tingere di immenso la sua speranza di futuro: “Così numerosa sarà la tua discendenza!”.
E Timèo con suo figlio si sentivano discendenza di Abramo, promessa di Dio.
Aveva sentito il fascino di quelle luci profonde nella notte. Aveva sperimentato il soprassalto per lo sguardo improvviso di una donna.
E cosa significa sapere su che terreno appoggiano i piedi quando si cammina; e la differenza abissale tra ciò che è davanti a noi, alla vista, e ciò che è dietro di noi, che non si vede.
Ma poi era arrivato il giorno di una malattia, tanto diffuse allora e tanto incurabili. Una malattia progressiva e inesorabile.
L’orizzonte si oscurava sempre di più. La nebbia saliva e non scompariva mai.
I contorni dei volti delle persone care si confondevano, si sentiva sempre più netto il suono della loro voce, ma non corrispondeva ormai più al muoversi delle loro labbra.
Finché un giorno il davanti e il dietro di lui furono un’unica cosa, un unico non vedere, un unico buio.
Aveva dovuto così rinunciare a guadagnarsi il pane con le sue mani e si era visto costretto a mendicare per pagarsi la vita. Passava il giorno seduto sul ciglio di quella strada che da Gerico porta a Gerusalemme. E attraverso la strada giungevano le notizie, che i ciechi mendicanti captavano, memorizzavano e raccontavano quando venivano riportati a casa. O nelle lunghe serate d’inverno.
Aveva sentito parlare di quel Gesù Nazareno che faceva miracoli, che restituiva la vista ai ciechi, come avevano predetto i profeti.
E suo padre Timèo, che credeva davvero che quel Gesù fosse il Messia, lo aveva incoraggiato: se un giorno passasse da Gerico per andare a Gerusalemme – lui che parla spesso di Gerico nelle sue parabole – allora Bartimèo, figlio mio, tu farai di tutto perché ti guarisca, perché lui è davvero il Figlio di Davide, il Messia promesso. Allora, quando succederà, non te lo fare sfuggire.
Attento figlio mio, quando accadrà ci sarà folla, molti lo vogliono vedere, toccare, ascoltare. Tu figlio mio, non te lo fare scappare.
Sarà l’occasione della tua vita. Preghiamo che tutto questo avvenga. E Bartimèo credette nella fede di suo padre: che Gesù veniva da Dio, senza averlo mai visto, senza averlo nemmeno sentito parlare.
In quei mesi di attesa sul ciglio della strada così aveva pregato: “Signore del cielo e della terra, che mi hai donato la vista e ora me l’hai tolta, se questo è per i miei peccati sono disposto a scontarli così. Ma se è perché si veda che il tuo Messia è giunto, come dicono i profeti, sappi che se egli un giorno mi guarirà io lo seguirò fino in cima al mondo. Ecco, gli chiederò di ridarmi la vista perché io lo possa seguire, e servire in tutti i giorni della mia vita. Non voglio tornare a vedere per seguire la via dei malvagi, ma per seguire lui per le strade del mondo.”.
Gli anni di cecità avevano portato Bartimèo a sviluppare un udito finissimo. Si rendeva conto dai passi che qualcuno si avvicinava, quando ancora era lontano. Chi aveva la vista forse ancora non lo vedeva ma lui sapeva.
E distingueva i passi degli stanchi da quelli dei frettolosi, sapeva quanti erano e come erano calzati. E conosceva le donne, che erano leggere, dagli uomini, pesanti.
Quella folla vociante, concitata, non poteva sfuggire al suo orecchio. Era qualcosa di nuovo.
Lo straordinario era nell’aria, il momento fondamentale e unico e allo stesso tempo fuggente lo si palpava.
Il cuore gli diede un sobbalzo: “Chi viene, chi viene, chi è!”. Già la sua voce urlava presa dall’entusiasmo della fretta, dalla possibilità che si avvera. Dal momento tanto atteso che si avvicina.
È Gesù di Nazareth che si avvicina! È Gesù che passa di qua, gli dicono.
E Bartimèo comincia a gridare con tutta la forza di quegli anni di buio. E grida il suo bisogno, la sua povertà unita alla fede nella grandezza di Gesù: tu puoi avere pietà di me! Dalla tua onnipotenza puoi scendere alla mia bassezza!
La forza della preghiera di quei mesi, i consigli di suo padre e il desiderio bruciante di dare un corso diverso alla sua vita, la voglia di vedere il Figlio di Davide e di partecipare finalmente alla sua missione, danno forza incontenibile alla sua voce.
Il gruppo di quelli che attorniano Gesù bada all’ordine pubblico, all’incolumità del Maestro, a dare un po’ d’argine a chi si accalca per vederlo, per toccarlo, per chiedergli una parola o una grazia. Non discerne, in questo caso, la vera necessità di Bartimèo e il volere del Maestro. Cerca solo di far cessare lo strepito. E lo rimprovera, come se il suo gridare fosse fuori posto.
È un cieco e un motivo ci sarà, che se ne stia accucciato a mendicare. Zitto tu, che sei pieno di peccati!
Non ricordano che Gesù è venuto per i peccatori, che ha ridato la vista a molti ciechi. Sono loro i ciechi che non si rendono conto di agire senza luce. Con la mente spenta.
Convinti, non si sa come, che quello fosse il modo migliore di aiutare il Maestro, quello che lui si aspettava, quel poco che sapevano fare, con cui potevano aiutarlo a compiere la sua missione.
Un po’ di potere che li rendeva importanti: garantire l’ordine pubblico, la guardia del suo corpo, difenderlo dagli assalti della folla.
I primi a cui Gesù ridona luce per i loro passi, sono proprio loro, i suoi seguaci. Si ferma e dice, proprio a loro, a quelli che rimproveravano Bartimèo perché gridava: “Chiamatelo!”.
E, bisogna dar loro atto, quelli cambiano subito idea, si fanno tramiti gioiosi del Maestro che ha ascoltato il grido del cieco.
“Coraggio!” gli dicono, “Alzati, ti chiama! Ti è toccata la fortuna di essere visto, ascoltato e chiamato da lui!”.
Bartimèo balza in piedi, per l’entusiasmo di essere stato ascoltato e di essere chiamato di persona dal Maestro, per la prospettiva di poterlo incontrare da vicino. E getta all’aria il suo mantello e corre da lui, pur essendo ancora cieco. Si lancia, corre.
È la corsa di un cieco pieno di entusiasmo. Sa da dove arriva la sua voce. Lo trova facilmente, lo orientano solo un po’.
Gesù davanti a lui prende l’iniziativa, prende la parola: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”.
Sono le prime parole rivolte a lui, personalmente, che Bartimèo non dimenticherà mai più.
Con quella domanda gli ha dato la parola e il privilegio dell’iniziativa: mette in risalto il valore della sua persona, l’importanza della sua volontà, la dignità del suo desiderio e della sua preghiera.
Gli interessa davvero che si sappia che cosa vuole lui, che è molto importante che si conosca da tutti la sua preghiera.
Si crea un improvviso silenzio. La folla non si sente più. Si sente il suo silenzio carico di attesa. Tacciono ammutoliti e attoniti quelli che dicevano al cieco di tacere.
E Bartimèo risponde: “Maestro mio, che io veda di nuovo!”.
Gesù vede la fede nel cuore di Bartimèo e nelle sue parole, nei suoi gesti. La vedono anche gli altri che lo attorniano. Capiscono che sta per accadere qualcosa di grande.
E Gesù premia la fede: “Va’, la tua fede ti ha salvato!”.
E subito il cieco guarisce e vede di nuovo. Vede gli occhi del Maestro, come prima cosa, vede il suo sorriso. Vede la luce senza più veli.
Non gli dice Gesù: “Vieni e seguimi”.
Anzi gli dice: “Va’, sei libero finalmente di tornare a vivere la tua vita di un tempo”.
Invece Bartimèo, fedele alla sua promessa, lo segue lungo la via.
Ora che ha riavuto la vista, lo può seguire da vicino, ovunque egli vada.
Che bello.
Tutti speriamo che ci accada qualcosa di simile! "La forza della preghiera di quei mesi,il desiderio bruciante di dare un corso diverso alla sua vita, la voglia di vedere il Figlio di Davide e di partecipare finalmente alla sua missione, danno forza incontenibile alla sua voce."
E tutti vorremmo sentire queste parole di Gesù!
"Che vuoi che io ti faccia?"Con quella domanda gli ha dato la parola, e il privilegio dell'iniziativa, il valore della sua persona, l'importanza della sua volontà, la dignità del suo desiderio e della sua preghiera".
Grazie per questo commento.
Vorrei aggiungere un'altra piccola cosa…a me piace leggere questo episodio, come pieno di speranza per chiunque “non è nato cieco”, ma vedeva la vita a colori:poi progressivamente ha perso la vista ( evidentemente la “vista del cuore”;infatti c’è mi pare un salmo, che parla di un Dio che illumina gli occhi del cuore) ed è finito in quella particolare forma di cecità che è la depressione : (ovviamente non parlo di quella patologica e grave , da curare anche con farmaci, ma di quella molto più comune, legata alle difficoltà nel lavoro, in famiglia etc…) .
Buio,niente più colori e gioia di vivere, tutto senza senso e senza speranza.
.Inizia allora a cercare disperatamente un senso, a “ gridare” e a cercar Dio con tutto il cuore , una ricerca molto più insistente e profonda di quanti gli sono accanto!
E infatti, chi gli sta intorno, in genere non afferra questa tensione ( sia della disperazione che della ricerca di Dio che evidentemente hanno pari peso!) , e cerca di “zittirla”,parendogli una “anomala esagerazione del sentimento religioso” stesso.
Ma qualcuno ( può essere chiunque,anche se, in genere è un sacerdote ) fa coraggio al cieco e forse gli fa vedere nella sua malattia, non una conseguenza dei peccati suoi o dei genitori, ma essenzialmente…un Lui che lo chiama! Coraggio! Se Lui ti chiama, vuol dire che ti ama! Perchè sempre chi-ama…chiama! c’è un disegno d’amore in tutto ciò che stai vivendo!
E infine c’è quel “correre”, strano da parte di uno che non vede! Ma in realtà Gesù non lo vediamo neanche noi; possiamo solo sentire, in qualche modo misterioso, dalle parole della Scrittura, o dagli eventi, o nella coscienza o nelle parole di qualcuno…che Lui c’è! e sulla base di questo, iniziare a correre al buio….per andare a sentire quelle parole, che , da sole, direi persino senza guarigione, sono già un magnifico dono:
“ Gesù si commosse e gli chiese” che vuoi che Io ti faccia?”
Evidentemente Gesù non è lì per rinfacciare l’ incapacità di vedere i colori, il non provare gioia , il sentirsi al buio, ma per ridare ciò che uno credeva perduto per sempre.
Rimanendo in ascolto delle Sue Parole, rimanendo alla Sua presenza,con tanta speranza e fede, fino a sentir dire” la tua fede ti ha salvato!”
E se non si guarisse, comunque si potrebbe un giorno, forse l’ultimo, dire come Simeone “i miei occhi hanno visto la salvezza!”
Ho riascoltato questo Vangelo durante la Messa di oggi e anch'io mi sono soffermata di nuovo a pensare al messaggio centrato sul vedere di un cieco.
Che cosa è che fa iniziare a vedere le cose di Dio fino a poterle continuare con iniziativa (almeno come quella del cieco che lei descrive nel suo commento)?
Mi piace particolarmente la parte finale dell'articolo, quella in cui si sottolineano i benefici dell'uscire dall'anonimato. Grazie!
Mi piace molto questa lettura del brano del Vangelo. un'applicazione alla nostra vita, non solo ad un momento preciso, ma ad una situazione che si può prolungare nel tempo. Al nostro non vedere che è cominciato nel tempo, dopo avere visto. Al passare di Gesù nella nostra vita senza che noi lo vediamo, alla sua commozione. E' un commento, una orazione personale piena di speranza. Grazie!
La grazie del Signore, la preghiera, la compagnia di amici che credono,l'unione con la Chiesa.