Matteo 9,9-13
Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre sedeva a tavola nella casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e se ne stavano a tavola con Gesù e con i suoi discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Come mai il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori».
Quante volte sono tornato a riflettere sul disegno misterioso di Dio nei miei confronti, ripensando a quel giorno e a quell’ora del mio primo incontro personale con il Rabbi. Fu nello stesso momento in cui mi chiamò a seguirlo. Molti mi domandarono poi se accadde così a tutti, o perlomeno a tutti noi dodici. Non fu proprio così con tutti, ma comunque avvenne sempre in modo rapido. Non c’era molto tempo. La sua ora –noi non lo sapevamo in quel tempo- era vicina. Dovevano trascorrere tre anni, intensissimi e sconvolgenti, affascinanti e rivoluzionanti, ma erano solo tre anni.
Certo, alcuni di noi prima dell’incontro con Cristo avevano maturato un’inquietudine, un desiderio di conoscenza, di servizio di Dio, di dare un significato alto alla vita. Dio prepara per tempo coloro che devono essere del tutto suoi, disponibili ad ogni cosa. Fu tutto così rapido, così lucente. Mi piaceva andare contro i luoghi comuni e mi stava stretta quella proibizione di occuparsi delle tasse. Mi sembrava giusto collaborare con gli occupanti per evitare mali peggiori. E non mi andava il moralismo di chi vedeva peccato dappertutto. Piuttosto erano altre le cose che si agitavano dentro di me: la convinzione che tutto quello non bastasse. Essere a posto con il lavoro e sicuro del
futuro, anche se dovevo guardarmi le spalle dai fanatici religiosi, ecco, tutto ciò non mi sembrava sufficiente. Anche l’ essere a posto con la coscienza: ero convinto di non fare nulla di sbagliato, anche se molti mi guardavano male. Pensavo che il popolo d’Israele stesse percorrendo una fase storica, sarebbe passata, come tante altre. Dovevamo avere pazienza e non infastidire gli occupanti. Eppure tutto questo non mi bastava, non poteva essere l’ unico scopo e l’unico significato della mia vita. Sognavo avventure di salvezza più alte. Sognavo un amore più grande. Un amore più grande urgeva nel mio animo ma non sapevo cos’era. Quei giorni di Cafarnao portarono alle mie orecchie, gli echi di parole e gesti di Gesù di Nazaret. Al telonio ne parlavano i colleghi e i tassati; i militari ci chiedevano notizie. Intuivo che forse qualcosa di grande stava accadendo al mio popolo; forse ciò che aveva detto il Profeta Isaia: Terra di Zabulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce. [1]Eppure tutto ciò non è sufficiente a spiegare la chiarezza, la convinzione, la certezza che mi invase dentro al vederlo e al sentirlo chiamarmi per nome, all’ imperativo che mi rivolse: seguimi! Non avrei mai deciso da solo di unirmi a lui, né si confaceva al mio modo di essere che fosse un amico a presentarmi. Avevo bisogno di sentire quelle parole direttamente da lui. Mio padre Alfeo era uomo saggio e aspettava la manifestazione del regno di Dio. Ci aveva educati a pregare perché avvenisse quanto prima. Ero andato a sentire Giovanni e le sue parole forti e rudi. Mi ero lasciato battezzare da lui per chiedere a Dio perdono dei peccati. Ma tra i peccati non ritenevo che ci fosse il mio lavoro. Anche le parole di Giovanni che orientavano tutti a fare il bene nel proprio lavoro, senza lasciare il proprio posto, mi confortavano nella stessa direzione. E pur sapendo di essere oggetto di critiche da parte di molti continuavo a ritenere più giusto rimanere lì al mio banco da esattore. Se io me ne fossi andato, altri senza scrupoli sarebbero potuti venire. Io cercavo invece di mediare, di far sì che le richieste si adeguassero il più possibile alla reale situazione di ciascuno. Poiché non rubavo, i miei superiori si fidavano di me e mi lasciavano ampio margine di manovra. Andai ad ascoltare anche Gesù in quei primi giorni di Cafarnao, non avevo dimenticato quella profezia di Giovanni: dopo di me viene uno che è più potente di me e io non sono degno neanche di portargli i sandali. Lo sentii parlare, lo vidi compiere guarigioni. E’ lui! Ero proprio convinto in cuor mio, che fosse proprio lui l’ unto del Signore, il Messia. Stare ad ascoltarlo ti dava la forza di seguirlo dovunque fosse andato, anche in capo al mondo. Rimanevo però nelle retrovie, un po’ nascosto, per non dare nell’occhio e poi tornare rapido al mio posto di lavoro per non suscitare sospetti o recriminazioni. Fra me e me ero incerto e pensavo: uno come me non potrà mai fare parte del gruppo dei suoi. Sarebbe per lui squalificante. La gente perderebbe fiducia in lui, soprattutto i nemici dei romani. E poi chissà se è proprio vero che sono a posto con la coscienza, se questo lavoro non è inviso agli occhi di Dio? Per questo non mi sarei mai aspettato quell’ incontro, non lo avrei mai neppure potuto sognare. Ma allo stesso tempo è come se lo avessi da sempre desiderato. Ripensandoci: come ha fatto bene tutte le cose, il figlio di Dio! Chiamandomi così, davanti ai compagni di lavoro, al mio banco di esattore ha risposto alle mie più profonde aspettative, ha dissipato i miei dubbi, ha confermato che quel lavoro andava bene, anzi mi aveva preparato all’incontro con lui. Mai, lungo i tre anni successivi mi ha rimproverato per quel lavoro che facevo, nessuna parola contro di esso. Piuttosto quante parole e gesti contro i farisei e gli scribi che dicevano male di me e del mio lavoro! Era da anni che sognavo l’ amore. Fin da bambino. Me lo immaginavo naturalmente con il volto di una donna, con la fecondità esultante del nostro amore. Eppure nella maturità della giovinezza, gli incontri, le conoscenze, le frequentazioni con una fanciulla e con un’altra, mi lasciavano la percezione che non mi bastava, non riuscivo a capire perché, ma era come se fosse troppo poco per le richieste del mio cuore, l’orizzonte di una sola creatura. Nonostante ciò volevo loro molto bene. Ma poi scattava il bisogno di andare oltre, sentivo una spinta interiore a non fermarmi lì, a non piantare la tenda, a non ingannarle con una promessa che non corrispondeva al mio cuore. In quel giorno, in quell’ istante, in quell’ incontro di luce, con quell’unica parola accompagnata da quel suo sguardo che era uno sguardo personale di chi ti conosce e che ti ama da sempre, in quel momento di sobbalzo del cuore, tutti i pensieri sono giunti alla loro meta, tutti i sentimenti alla loro casa. Allora era questo! Era per questo. L’educazione di Alfeo, i discorsi di Giovanni e il suo battesimo, i sogni d’ amore mai realizzati, le battaglie per continuare a fare il bene nel lavoro così malvisto e odiato da molti. In quell’ istante si incontrò la terra con il cielo nel cuore che si dilatava e cominciava a volare. Gli anni avvenire confermarono l’intuito del momento.
Soprattutto i giorni dopo la Risurrezione e le prime esperienze della chiesa, e le terre lontane dell’ oriente. Nei tre anni di compagnia con Gesù, tutti gli insegnamenti della gioventù si illuminavano, ogni cosa che nella scrittura era aperta a tante possibili interpretazioni, trovava compimento.
Mi bussava sempre più frequentemente nell’animo la spinta a scrivere per ricordare, per tramandare, per spiegare ai miei fratelli nella fede che Gesù Cristo, il figlio di Davide, figlio di Abramo, nato da Maria, sposa di Giuseppe, per opera dello Spirito Santo è il vero figlio di Dio fatto uomo per la nostra salvezza.
Avevo in mente quegli amici e quei colleghi, brava gente per lo più, amici di famiglia, colleghi di lavoro, compagni di gioventù. Quegli amici di cui parlai subito a Gesù quel giorno al banco degli esattori: io ti seguirò ovunque tu vada, ma lascia che ti inviti nella mia casa e chiami tutti gli amici a conoscerti, e i parenti e i conoscenti. E Gesù fu subito d’accordo. Fu una grande festa. Gesù era di grande compagnia, si accorgeva di tutto, a ciascuno diceva ciò di cui aveva bisogno. Si rideva anche molto insieme a lui. Allegria solo un po’ velata da quelle critiche e mormorazioni.
Ma poi ciò che Gesù rispose ai farisei fu ripetuto per le strade e per i villaggi, e molti lo intesero così: non ci sono giusti, tutti siamo peccatori e tutti siamo chiamati da lui alla penitenza e alla santità della vita. Chi si sente giusto o vorrebbe esserlo, senza mai peccato e segue la via dei farisei, è uomo sfortunato che si elimina dalla chiamata di Gesù il Cristo.
Cosa contava la mia amarezza per quello sgarbo durante il pranzo di festa in casa mia di fronte alla luce che era venuta per tante persone dalle parole di Gesù?
Quando scrivevo i miei appunti e ricordi sulla buona novella di Cristo pensavo a loro, ai miei amici di Cafarnao che avevano mangiato e bevuto proprio con lui il giorno della mia chiamata. E che non avevano avuto la mia fortuna di seguirlo giorno dopo giorno e non erano stati testimoni della sua morte in croce e della sua Resurrezione. Loro avevano bisogno, avevano diritto alla mia testimonianza. Potevo intuire che quello scritto sarebbe arrivato in mano ad altri, a molti. Ma mai avrei potuto pensare che lungo i secoli sarei stato ricordato come il primo evangelista della Chiesa. Anche perché avevo fatto di tutto per non apparire, per lasciare tutto lo spazio a lui e alla sua parola.
Non avevo potuto tacere quel giorno e quella chiamata, certo come ero, già allora, pur ignaro della memoria futura, che il “ seguimi “ di Cristo per chi lo ascolta e lo accoglie apre una vita di sacrificio e di avventure che superano sempre i sogni più audaci, che colmano sempre le più elevate aspettative umane. Il suono della sua voce, il suo sguardo e quelle parole mi hanno accompagnato lungo la vita, mi hanno sostenuto nei momenti bui, mi hanno lanciato verso nuovi confini, quando considerazioni di prudenza umana mi avrebbero trattenuto. In tutto mi fu sempre accanto come madre, Maria, sua madre, che fin dal principio mi accolse come un figlio.
Per fede Matteo seguì Gesù che lo chiamava. Per fede ne informò gli amici; per fede perseverò fino alla fine.
Dio nostro Padre che inviandoci il tuo Figlio Gesù, nato da donna, ci hai chiamato a seguirlo da vicino nelle vicende della nostra vita quotidiana, donaci la fede che hai dato a Matteo, perché anche noi possiamo ascoltare la sua parola, riconoscerlo e seguirlo. Per Cristo nostro Signore.
"Il suono della sua voce, il suo sguardo e quelle parole mi hanno accompagnato lungo la vita, mi hanno sostenuto nei momenti bui, mi hanno lanciato verso nuovi confini". E' molto bello. Tutta la storia di una vocazione può trovare tutta la sua forza a partire da un unico fatto che è quello che conta: eternamente PRESENTE.
Eternamente presente e che ci lancia continuamente verso il futuro
io leggo spesso il Vangelo, a volte riesco a collegare il significato di alcuni bani tanto che il discorso di Gesù sembra prolungarsi e si imprime bene nella mente.
Ma nella storia di Matteo la comprensione sembra coincidere con il cambiamento della sua vita soprattutto quando coglie che va bene quello che fa perché Gesù glielo conferma con la chiamata.
Non è sempre facile vivere il Vangelo mentre a volte penso che non sia impossibile capirlo…
E' vero. Capirlo è alla portata di mano. Soprattutto se chiediamo aiuto allo Spirito Santo che è l'autore ultimo di ogni parola. Se abbiamo buona disponibilità a capire e a lasciarci convertire da quella Parola. Se lo capiamo e ci illumina, è più facile viverlo: se ci lasciamo forgiare da quella Parola e dalle forze che escono dal corpo di Cristo che sono i sacramenti della Chiesa.